Rita Greco La gioia delle incompiute Ladolfi Editore, 2021 . Tenersi stretta la gioia «delle cose / che non sono...
Critica
Da dove ritornano le Poesie dell’inizio di Milo De Angelis? La storia del manoscritto di poco più di cento...
La nuova collana “portosepolto” di peQuod, diretta da Luca Pizzolitto, ci ha offerto da subito buona poesia, scritta anche da...
La letteratura dialettale in Italia inizia la sua secolare tradizione nel Cinquecento, quando a proposito della questione della lingua fu...
Il complesso della presenza – ancora riflessioni su chiarezza e oscurità in poesia – di Andrea Ponso – da Atelier...
Mattia Cattaneo Partiture di pelle Architetti delle parole, 2021 . Pietro Fratta, dell’agenzia letteraria ‘Scrivere poesia’, la considera ‘la sua...
L’ultima fatica poetica di Luigia Sorrentino, edita Pordenone Legge e Samuele editore, sembra raccogliere nell’incisività di un verso brevilineo dalla...
Ascolto e riascolto la tua voce, le tue voci. Sono nel mio studio a Bisceglie....

(Puntacapo editore)
Lettura di Piergiorgio Viti
Esco di casa dopo aver visto lo struggente “Sorry we missed you” di Ken Loach e mi torna in mente “Corpo dea realtà - Corpo della realtà” (Puntoacapo editore) dell’ottimo Fabio Franzin, letto meno di un mese fa. Il libro, già vincitore del V premio Fortini, e il film sembrano viaggiare su binari paralleli: la precarietà esistenziale e la disgregazione dei rapporti umani, schiacciate entrambe dalle coercitive regole del mondo del lavoro. Sì, quel lavoro che logora, consuma, che sembra in grado di annullare persino la vita stessa dell’autore veneto, classe 1963, poeta-operaio come lo fu, a suo tempo, Luigi Di Ruscio, il quale per anni lavorò in una fabbrica di chiodi in Norvegia. La dura condizione lavorativa, già ampiamente trattata da Franzin nelle precedenti sillogi, come per esempio in “Fabrica” (a quando una ristampa?) assume sempre di più i connotati di un Purgatorio dove la natura umana è continuamente violata. Alla crisi economica, sociale, antropologica non si può che opporre però una sterile resistenza, per cui “Scrivere è cancellare”: al poeta rimangono soltanto le parole, le poche parole “per resistere/, per rimanere a galla nel fondale della storia.”. Paradigma di questa strenua resistenza è il testo “Partigiano della terra”, tra i più notevoli; in una vasta area in cui sorge il centro commerciale di Marcon, l’autore nota l’unica casa contadina rimasta; il “partigiano della terra” , fra mega supermarket, outlet, parcheggi e rotonde, mai arresosi al cancro della speculazione, è lì che continua a vivere la sua vita semplice, arcaica, tuttavia forse per questo più autentica. La condizione da “sopravvissuto” fa dire a Franzin, in una chiusa-manifesto pregna di umana compassione, che “mi sento fratello/ di quest’ultimo partigiano della terra”.
A cura di Maurizio Casagrande La silloge della poetessa colombiana, in cui confluiscono testi inediti e liriche già incluse...