Giusi Busceti, quattro inediti da “Se c’è luce”

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Se c’è luce

Se il soffitto è solcato dalle ombre
vuol dire che c’è luce:
finestre bucano il colare
questo chiostro del buio.
Immenso. Nebulose
mammelle gelatine palpabili
cuscini affondano

qui interferenze balenano
maree di parole accecanti
sommergono le piante
la cucina il pavimento
queste porte sigillate.
Una spirale di sirene
ci stritola il diaframma.
Sottovuoto si espande si dilata
la metropoli ingoiata.
In apnea contemplo
sosta riemerge una foglia
a respirare ma

prima della notte
era apparsa così esile una falce
sommessa in perla cielo
più nitida al declino tra i camini
posata su rami secchi e
non ancora morti
non ancora inverno
al crepuscolo incerto
le punte più fulgenti
fuggenti sotto i tetti
oscura l’indaco ridente e
Éspero sorge

chiude palpebre ai cortili
un’ombra di pietà copre il soffitto.
Se c’è luce.

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Camere ardenti

è terra che brucia l’arancione
la curva di un campo sportivo
confusa dal biancospino
ha un senso aperto

di fronte l’ospedale recintato
ha sbarre dipinte di rosso
combatte meglio la ruggine
il clima il tempo
la città assordata
le ambulanze più vicine
più lontane

il parco al di là
qui una panchina indifesa
granito fuso a calcestruzzo
sostiene decenni, senza appoggi

schiacciati dalla curva
intorno al campo
giovani corrono splendenti
tra le rovine di Olimpia
spianate di giganti collassati
dissolti i colori vivaci
l’amore è sbiancato sui resti

non è più freddo il pomeriggio
si è fermato il vento
nella terra sparita l’addio
che comincia da questa curva
di tramonto a piombo

non era vento era ottobre
sbiancata la notizia sulla pelle
non è più l’ora
dei mesi ingannatori
colati lungo il muro sbiadito
di sole senza filtri

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Magnolia

che la magnolia del duomo era fiorita
lo sapevo, ma non sono uscita.
Non ho visto l’esplodere magnifico
dei bocci, sono rimasta immobile
nel vuoto delle palpebre a cercare
riflessi della gioia incontenibile,
la bambina di apríle
abbacinante pelle del domani

ma la stagione volteggiando folle
irrompe a strappi azzurro della sete
sul centro vorticante di città,
l’armata senza pelle
impassibile avanza sui germogli
di una specie accartocciata

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Partenza
(a G.D.)

mi sono seduta dal lato
che guarda che vede
la terra che è stata
origine e scempio
i giorni dei giorni rive aguzze
camminati tra i nomi del mare
che è nord è sud è ovest mare
di dovunque gente
ogni stazione è vento
che diverso corre
amabile carezza e bruciante strazia

il lato che non sarò dove sarai
ferma femmina adriatica
infine Ionio di rosa

Giusi Busceti

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Nota Biobibliografica
Giusi Busceti, calabro-milanese, ha pubblicato le raccolte Sestile (Corpo 10, 1991), A nucleo perso (LietoColle 2007) e Ufficio del sole (La Collana di Stampa2009 a cura di Maurizio Cucchi, 2022). Suoi testi sono apparsi negli anni in varie plaquette e su riviste, blog, antologie e opere critiche in Italia e in USA. Già collaboratrice delle Edizioni Corpo 10 di Michelangelo Coviello e Niebo, diretta da Milo De Angelis, è fondatrice, presidente e curatrice di numerose rassegne e incontri dell’associazione culturale Casa della Poesia al parco Trotter di Milano, che dal marzo 2004 opera per la conoscenza della poesia, anche negli incroci con le altre arti, nelle periferie multiculturali e nella scuola.

La foto è di Nino Rubino.