Francesca Innocenzi – Inediti

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Laureata in lettere classiche, è dottoressa di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (Il Filo 2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (Edizioni Progetto Cultura 2007), Cerimonia del commiato (Edizioni Progetto Cultura 2012), Non chiedere parola (Edizioni Progetto Cultura 2019), Canto del vuoto cavo (Transeuropa 2021); la plaquette Formulario per la presenza (Edizioni Progetto Cultura, Quaderni di poesia Le gemme, 2022); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (Eum 2011); i romanzi brevi Sole di stagione (Prospettiva 2018) e Diario di una stalker mancata (Edizioni Progetto Cultura 2022). Nel 2023 è uscita in Romania la plaquette bilingue Halou de toamnǎ/ Alone d’autunno per Edizioni Cosmopoli di Bacǎu. Per Edizioni Progetto Cultura ha diretto una collana di poeti esordienti, «La scatola delle parole», tra il 2007 e il 2012, e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole», della rivista online «Poesia del nostro tempo» e collabora con vari blog letterari con recensioni e articoli sulla poesia greco-romana e contemporanea. Ha ideato e dirige il Premio di poesia Paesaggio interiore ed è direttrice artistica dell’omonimo Festival.

 

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È una cruna il cancello, ci si infiltra
ogni volta attraverso, senza andare.
Ogni volta che lo apri e passi oltre
qualcosa ti trema di orfanezza alle spalle.
Un panno lasciato all’aperto
in preda agli umori del tempo
una tazza con un racimolo sul fondo
che sa di bagnato.
Una lucertola che sfreccia sul muro
e si allontana.
Quella voce che ti affianca fino al varco
come sempre – appena arrivi, chiama.

 

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Mattino. La gatta attende
accanto alla sua ciotola vuota.
Il passo leggero della madre sui gradini
uno strimpellare di piano
un adagio che precede
il saluto stonato della sveglia
un attacco di nota del conforto.

 

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Il cucchiaio scava nella gola
esplora rimesta affonda
in cerca di un segno del male.
Come schiuma si gonfia il conato
uno scoppio deflagra di fuori e scuote il corpo
e lascia per reliquia un’occlusione
di mascella, una flebo di spasimo nel sangue.

 

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La figlia e la madre
fissano il televisore acceso
nell’ombra del caldo implacato.
Il padre non torna.
Altrove, nella notte cittadina
lui abbraccia una camera in tempesta
e ne esce con crampi di veleno
da spargere a fiotti, domani
sul piatto intatto del pranzo.
La figlia lascia la stanza della madre
nel buio spalanca una finestra.
Vorrebbe togliersi la sete
ma più beve, più suda.