PETER SIRR – TRE POESIE INEDITE

SIRRPeter Sirr (1960) è un poeta e traduttore  irlandese. Ha visstuo in Irlanda, Italia e Olanda. E’ stato il direttore dell’Irish Witer’s Center dal 1991 al 2002 nonché direttore della rivista Poetry Ireland Review dal 2003 al 2007. E’ il vincitore del Patrick Kavanagh Poetry Award (1982), del Listowel Writers prize (1983) e finalista per due volte al Poetry Now Award: con la raccolta Nonetheless nel 2005 e con The Thing Is nel 2010. Nel 2011 gli viene conferito il Michael Hartnett Award per la raccolta The Thing Is. Attualmente è Lecturer al Trinity College di Dublino. Ha pubblicato 9 raccolte e le sue poesie sono state tradotte in diverse lingue per riviste o antologie.

 Peter Sirr
(inediti)
traduzione dal’inglese di Marco Bini

 

from The Ledger of Fruitful Exchange (Gallery, 1995)

 sirr

Hunting the Bricks and Mortar

I have words, pictures,
I have my books on architecture–
splendours and duds, the brave
municipal dream, the dread hands
working up their own image
crying Look, O look, and in there,

in the thick of it, unbuilt
but not unimagined, my own
shelter, Home: hewn, dreamed,
timbered, stoned, set up and put upon,
mulled over, once begun, twice begun,
innumerable tearings down

and beginnings again. Through
the streets I go, foraging, lifting
a brick here, a gate there, one corner
of someone’s garden, grasses, flowers
named somewhere: I have the book,
the notebook, I can hear the sound

they make, brick lowered upon
brick, stem upon stem and name
upon name: a litany, prayer,
a tiny burden to be taken
for safekeeping, for the hearthstone,
for the way, unreliably,

the light will strike a window
not there yet, not made,
not even gathered from the fire
but taking up the stubborn space between
one hand and the other, one finger
and the next, and carried everywhere.

 

 

 

The Writer’s Studio

                              (after the Francis Bacon Studio in the Municipal Gallery, Dublin)

They’ve been worrying for ages
how best to show your chaos.
Two days from the opening
a curator re-arranges papers,
spills ink on the floor, half-eats an apple
and throws it in a corner, but still
the disorder comes to order;
the flung pipe, the forgotten shirt
sculpted and composed, with the notebooks,
the scrawled on walls and mildewed postcards.
It’s all there, through the peephole,
this reconstruction of your mind
from which you are entirely absent.
You’re in heaven cursing the dullness of angels,
throwing your clothes around like clouds,
prowling the fragrant avenues
for a fight, a drink, someone to talk to
or sleep with, and if some freak wind
planted you here among your own things,
you’d sweep the lot from under our eyes,
tear it all down, rip the postcards, the T-shirts,
rob the till and drink it dry and float
back up to your high bed and wake up
having forgotten everything. We
who so loved your life we made a fetish of it
will stand in the air, hoping to catch
whatever falls: broken crockery, a smashed cloud,
we’ll see your hand in the wind and rain,
hear your voice in the roaring streets,
follow you from porn shop to pub
and back again  And then a tree will fall,
or a leaf,  someone lean out a window, a cat slope
down a laneway

and at last
we will understand you.

 

 

from Bring Everything (Gallery, 2000)

 

Peter Street

I’d grown almost to love this street,
each time I passed looking up
to pin my father’s face to a window, feel myself

held in his gaze. Today there’s a building site
where the hospital stood and I stop and stare
stupidly at the empty air, looking for him.

I’d almost pray some ache remain
like a flaw in the structure, something unappeasable
waiting in the fabric, between floors, in some

obstinate, secret room. A crane moves
delicately in the sky, in its own language.
Forget all that, I think as I pass, make it

a marvellous house; music should roam the corridors,
joy patrol the floors, St Valentine’s
stubborn heart come floating from Whitefriar street

to prevail, to undo injury, to lift my father from his bed,
let him climb down the dull red brick, effortlessly,
and run off with his life in his hands.

 

 

 


 

 

traduzione dall’inglese di Marco Bini

 

 

 

da: The Ledger of Fruitful Exchange (Gallery, 1995) 

 

A caccia di malta e mattoni

Possiedo parole, figure,
possiedo i miei libri di architettura
splendori e miserie, il coraggioso
sogno municipale, le mani solenni
che plasmano la loro stessa immagine
esclamando “Guarda, oh, guarda” e là dentro,

in piena attività, non c’è ancora
ma lo immagino, il mio
rifugio, Casa: stagliata, sognata,
di legno e pietra, posata sulle fondamenta,
rimuginata, iniziata una volta, poi una seconda,
innumerevoli volte abbattuta

e ricominciata daccapo. Vado
per le strade rovistando, raccolgo
un mattone qui, un’inferriata là, un angolo
di giardino da un tizio, erba, fiori
il cui nome sta da qualche parte: possiedo il libro,
il portatile, posso sentire il suono

che fanno, mattone su mattone
stelo sopra stelo e nome
su nome: litania, preghiera,
piccolo peso da sopportare
per sentirsi al sicuro, per un focolare,
per il modo imprevedibile

in cui la luce colpirà una finestra
che non c’è ancora, ancora da fare,
il vetro neanche passato sopra il fuoco,
raccogliendo lo spazio tenace tra
una mano e l’altra, un dito
e il successivo, spargendosi ovunque.

 

 

Lo studio dello scrittore

                                     (ispirato allo studio di Francis Bacon alla Municipal Gallery di Dublino)

Hanno passato epoche intere a pensare
come ricostruire il tuo casino.
A due giorni dall’inaugurazione
un curatore ridispone fogli,
rovescia inchiostro a terra, mangia mezza una mela
e la lancia in un angolo, ma pure
il disordine richiama un ordine;
la pipa gettata a terra, la camicia abbandonata
scolpita e ripiegata, con i quadernetti,
muri scarabocchiati e cartoline ammuffite.
È tutta lì, uno sguardo allo spioncino,
la ricostruzione della tua mente
dalla quale tu manchi del tutto.
Sarai in paradiso a maledire l’ottusità degli angeli,
gettando in giro i vestiti come nuvole,
girando i viali profumati in cerca
di scazzottate, un bicchiere, qualcuno per due chiacchiere
o per andarci a letto, e se un vento capriccioso
ti avesse abbandonato qui fra le tue cose
avresti rassettato tutto sotto i nostri occhi
per poi devastarlo, stracciare cartoline e magliette,
svuotare la cassa e seccarti tutto per ciondolare
verso il tuo grande letto e poi svegliarti
senza ricordare nulla. Noi
che amiamo la tua vita ne abbiamo fatto un feticcio
e stiamo lì impalati nella speranza di agguantare
quello che casca: vasellame in pezzi, una nuvola fracassata,
vedremo la tua mano nel vento e nella pioggia,
sentiremo la tua voce nel frastuono delle strade,
ti seguiremo dal sexy shop alla birreria
e viceversa. Poi un albero cadrà
o una foglia, qualcuno si farà alla finestra,
un gatto se la svignerà
giù per un viottolo e
infine
ti capiremo.

 

 

da: Bring Everything (Gallery, 2000)

 

Peter Street

Sono cresciuto in pratica per amare questa strada,
ogni volta che passavo guardando in alto
per appuntare il volto di mio padre a una finestra, sentirmi

stretto nel suo sguardo. Oggi c’è un complesso di edifici
dove stava l’ospedale e io mi fermo istupidito
a fissare l’aria vuota, in cerca di lui.

Avevo quasi pregato che rimanesse qualche acciacco
come una crepa nella struttura, qualcosa di implacabile
acquattato nel fabbricato, tra i piani, in qualche

ostinata segreta stanza. Una gru si muove
delicata nel cielo, nel linguaggio tutto suo.
Dimentica tutto, penso passando, fanne

una casa delle meraviglie; la musica che rimbalza per i corridoi,
la gioia di pattuglia tra i piani, il cocciuto
cuore di San Valentino che svolazza da Whitefriar Street

per trionfare, annullare le ferite, sollevare mio padre da letto,
fargli scendere senza sforzo lo spento muro rosso di mattoni
e lasciarlo correre lontano con la vita tra le mani.


 

otografia tratta dal sito dell’autore

 Marco Bini (1984) vive e lavora a Vignola (MO). Laureato in Lettere moderne all’Università di Bologna, scrive poesie e traduce da inglese, tedesco e francese. Collabora con l’organizzazione di Poesia Festival in provincia di Modena. Nel 2011 ha pubblicato per Ladolfi editore Conoscenza del vento (Premio Giusti e finalista Premio Camaiore), e nello stesso anno suoi testi sono apparsi sull’antologia La generazione entrante (Ladolfi editore).

Per Atelier on-line ha tradotto:
Evgenij Evtušenko
Amiri Baraka