Intervista a Nuno Júdice
di Eleonora Rimolo
Nuno Júdice nasce a Mexilhoeira Grande (Algarve) nel 1949. Si laurea in Filologia Romanza presso l’Università Classica di Lisbona. È stato professore dell’Università Nuova di Lisbona, da cui si è congedato nel 2014. Tra il 1997 e il 2004 ha svolto le funzioni di Consigliere Culturale e Direttore dell’Istituto Camões di Parigi. Ha pubblicato libri di saggistica, di narrativa e di poesia, in italiano tradotti presso Kolibris editore. È attualmente direttore della rivista «Colóquio-Letras» della Fondazione Calouste Gulbenkian.
Tutti i grandi intellettuali portoghesi, a partire dal sovrano Duarte nel 1436, hanno dato una propria definizione di saudade, parola portoghese che delinea un sentimento prettamente portoghese, di cui è impossibile dare una traduzione precisa, come ribadito anche dallo scrittore Antonio Tabucchi, che parlò di una specie di nostalgia non solo del passato, ma anche del futuro. Qual è la sua personale definizione di saudade?
Della saudade sono state date così tante definizioni che risulta difficile aggiungerne un’altra. Alcuni anni fa, nel numero 1000 della rivista «Europa» scrissi un articolo proprio sulla saudade, che il caposcuola del movimento romantico lusitano Garrett (pseudonimo dello scrittore e uomo politico portoghese João Baptista da Silva Leitão) aveva definito come la parola che meglio di qualunque altra suona sulle nostra labbra, e l’articolo terminava dicendo che, per me, la saudade probabilmente è il mostro in agguato sul fondo del nostro labirinto.
E’ molto difficile stabilire quali sono i propri maestri assoluti quando si scrive poesia, ma alcuni poeti tracciano nel nostro percorso spirituale ed intellettuale un solco che ci guida e ci orienta lungo il cammino del verso: a quale poeta portoghese e a quale poeta italiano lei sente di essere poeticamente più vicino e per quale ragione?
Non è facile per me indicarne uno solo, ma, se dovessi scegliere prediligerei per il Portogallo un poeta che sente come Camões e pensa come Fernando Pessoa, mentre per l’Italia preferirei Eugenio Montale, perché rimane indubbiamente il poeta italiano a cui ritorno più spesso, e con il quale ritrovo le maggiori affinità.
La letteratura portoghese è vasta e articolata, ma l’autore che più di tutti la rappresenta in Europa e nel resto del mondo è sicuramente Fernando Pessoa, che in vita pubblicò pochissimo e che ci ha lasciato un baule con migliaia di testi, suoi e dei suoi eteronimi. Un patrimonio inestimabile che lo ha reso uno dei poeti più incisivi del secolo scorso. Qual è per lei l’importanza della poesia di Fernando Pessoa per il Portogallo e per il resto del mondo?
L’importanza di Pessoa è per me la medesima sia in Portogallo che nel resto del mondo: l’aver scoperto che il poeta non si limita ad essere uno, ma va cercando di volta in volta il proprio volto nei molteplici specchi che la vita gli offre.
Lei è un poeta ed è anche un critico letterario: che significato ha, in questo tempo, scrivere e studiare la poesia?
Oggi scrivo soprattutto poesia, al di là della finzione, ma continuo anche a scrivere sulla poesia, poiché questo lavoro mi aiuta a capirne non tanto il senso, perché il senso è ciò che meno conta in una poesia, ma il motivo per cui una poesia ci fa entrare nel suo mondo e ci permette di scoprire una realtà che non immaginavamo potesse esistere fino al termine della lettura. Ciò che lo studio sulla poesia permette di approfondire, inoltre, è la funzione alchemica del linguaggio poetico, capace di trasformare in oro quelle che quotidianamente vengono definite «le cose più semplici».
Eleonora Rimolo (Salerno,1991) vive a Nocera Inferiore. Laureata in Lettere Classiche e in Filologia Moderna, è ora dottoranda in “Studi Letterari” presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha pubblicato due raccolte di poesie: Dell’assenza e della presenza (Matisklo, 2013) e La resa dei giorni (AlterEgo, 2015, Premio “Poesia Giovani Europa in versi 2016”, organizzato dalla Casa della Poesia di Como). Uscita a gennaio 2017 è la sua terza raccolta di poesie, dal titolo Temeraria gioia (Borgomanero, Giuliano Ladolfi editore).
Per Atelier ha tradotto alcuni inediti di Nuno Júdice