Carlo Boassa (Cagliari, 1970) vive a Pistoia. Dopo aver conseguito un Dottorato in Letterature comparate, ha lavorato come editor. Ha pubblicato tre libri di poesia: Un quaderno (1989) e Autovita (1991), entrambi finalisti al premio “Giuseppe Dessì”, e Gli occhi (1993). Suoi versi dalla raccolta inedita Legato sono apparsi con traduzione inglese di Gabriele Poole nell’antologia InVerse 2021 – Italian Poets in Translation (John Cabot University Press) e sulla rivista «Avamposto».
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I
Speranze dal vivo, come si copia
per esercizio un nudo, un canestro di frutta.
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II
Una scena d’insieme la solitudine.
Il cuore uno scossone tra la folla.
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III
Nuvola su una campagna riarsa
il senso sulle cose, passeggera.
Un confine si posa sul mio sguardo;
scuote le penne, canta, vola via…
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IV
Mie lacrime mai state,
mai nemmeno sognate,
perché siete le stelle,
siete le rose,
e tutte le altre cose, le più belle.
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V
Il dolore, questo mimetizzarsi
con l’istante, questa nessunità.
Parlo di carne, del maldestro plagio
che la morte spaccia per sua maestria.
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Dalla Postfazione di Franca Mancinelli.
Boassa lavora a partire da immagini che sono radice della meditazione. I suoi versi si incidono, come piccole scalfitture che ritroviamo in noi. Compiuti con l’esattezza e la totale dedizione che si potrebbe riservare alla propria epigrafe tombale, conservano allo stesso tempo la tensione di ciò che vive: «Sulle lapidi i versi, cioè/ sulla carta, come su quelle i fiori» (XVIII). Ciò che salva questa scrittura dal rischio che porta in sé una profonda consapevolezza e abilità formale, ossia di risultare in senso etimologico perfetta, compiuta, e quindi inerte, fredda, è il sottilissimo filo di sangue che vi scorre e attraversa il libro dall’inizio alla fine; a tratti affiora, in una purezza che splende, come le lacrime del IV frammento che, in un ricordo infantile diventano «le stelle», «le rose, / e tutte le altre cose, le più belle». A dare vita a questi versi è l’energia di un inesausto germogliare, quello dell’immaginazione con la sua tensione associativa che costantemente riallaccia i legami tra ogni elemento dell’universo (similitudine e analogia sono infatti le scintille da cui frequentemente nascono questi testi). L’ironia come intelligenza delle cose accompagna in un controcanto costante questa rappresentazione in versi del dolore, smorzandone la punta ogni volta che si fa più acuminata.
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© Fotografia di Paolo Vivanet