Alfredo Rienzi – Inediti

Alfredo Rienzi (1959) vive dalla prima infanzia nel torinese. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, da Contemplando segni, silloge vincitrice del X Premio Montale, in 7 poeti del Premio Montale (Scheiwiller, pref. di M. L. Spaziani) fino all’ultimo Sull’improvviso (Arcipelago itaca, 2021, pref. di M. Cucchi). I primi volumi sono in parte confluiti ne La parola postuma. Antologia e inediti, come Premio Fiera dell’Editoria di Poesia (puntoacapo Ed., 2011). Ha tradotto testi da OEvre poétique di L. S. Senghor, in Nuit d’Afrique ma nuit noire – Notte d’Africa mia notte nera, a cura di A. Emina (Harmattan Italia, 2004) e pubblicato il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (Ed. dell’Orso, 2011). È inserito nell’Atlante dei poeti dell’Università di Bologna e presente in numerose antologie critiche nazionali. Cura il lit-blog “Di sesta e di settima grandezza – Avvistamenti di poesia”.

 

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Silenzio, afasia, vanitudine
della parola e –brada conseguenza –
del passo che l’accerchia
del gesto entro il bosco residuale.
Di muta ombra l’alneto si riveste e tace ora l’oscino.
Le risa dei bambini giungono ottuse e stinte
spaventosi i giorni quando non sorgono
dalle stelle e alle stelle non volgono.
Lui dietro un cespuglio di violaspina
pensa sarai mia sposa
ma dell’amore dubita in silenzio.
Il solo suono è di cenere

Da dietro i muri i vivi contano i morti
col pudore di voci grigie
come nel sottovento di palude
Dietro i veli i morti contano i vivi
Ne misurano i passi, nel planare
delle cause. Ne vedono i pensieri
arsi sfioriti d’elitre ronzanti
Ne hanno compreso il cieco tempuscolo
Stanno ridendo d’ogni loro gesto
solo la manutenzione dei denti
sanno essere atto senza vanità.

L’ebbio mi offre una turgida carezza
di succo viola vorrebbe marchiarmi
la gena, il solco fondo dell’occhio
in metalingua dire
“la tua solitudine è illusione
e illusione sono anche le presenze”.
Lo allontano con cautela, lo scosto
dal viottolo. Bacio una foglia rossa.

Non amo la retorica di sere
e di crepuscoli, né della vita
che s’accorcia, le stesse mie parole
su fuochi e su candele
che estinguono le fiamme.
Non amo parlare della morte
ora che già lo sono, morto
e ho provato il freddo della terra
la sua spelonca buia
il fiato fatto pietra
e il cuore-uccello dalle piume rosse

Non muove vento tra le pale il mare
nel suo mattino d’alluminio.
Sediamoci vicini, compagna silenziosa
traccia parentesi il vulcano in cielo
c’è oggi una bianca quiete: che leggi
tu? quale annuncio, quale proemio?