Giovanna Rosadini legge Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore (Torino, Einaudi, 2014)
Da Atelier 75 (Settembre 2014)
Seguo e conosco ormai da molti anni la poesia di Chandra Livia Candiani, una delle voci più limpide e acute del panorama italiano contemporaneo. Voce schiva e discreta che, incomprensibilmente, ha stentato a trovare un ascolto adeguato da parte delle majors editoriali, forse per l’inconsueta pronuncia che la caratterizza, e la rende difficilmente classificabile.
Segnalata fin dagli Anni Settanta da Antonio Porta, che la incluse nella sua antologia dedicata ai poeti del decennio, ha vinto il Premio Montale per l’inedito nel 2001, ma è approdata solo nel 2012, con l’inclusione nei Nuovi poeti italiani 6 di Einaudi, a un grande editore, dopo diversi memorabili libri usciti da piccoli editori come Io con vestito leggero (Campanotto, 2005) e Bevendo il tè coi morti (Vinnepierre, 2007), un dialogo in versi con la presenza tangibile e vivissima degli scomparsi, compresi in tal modo in un unicum dove celeste e terrestre si compenetrano, parti di un più grande mistero. Già da questo si può intuire la qualità mistico-sapienziale della poesia di Candiani, frutto di un personalissimo percorso di ricerca spirituale, vicino al buddismo e alle filosofie orientali (complice l’attività di traduttrice di testi di filosofie orientali dell’autrice), ma sostanzialmente scevro da dogmatismi e certezze di percorso, dunque laico e aperto alla domanda, all’interrogazione, così come, d’altra parte, a implicazioni psicoanalitiche.
Tutta la poesia di Chandra Candiani è aperta in un dialogo inesausto con il mondo, naturale e soprannaturale, i vivi e i morti, gli elementi della natura e del paesaggio, anche urbano: Io è tanti recita uno dei titoli della silloge, anche relativamente alla singola persona, con particolare riferimento all’infanzia, come la bambina cui è intitolata la raccolta sottintende. E, se il tema della perdita rimane centrale in queste poesie (il fratello ricordato in quella in apertura, o la sezione centrale della raccolta, Pianissimo, per non svegliarti, in colloquio con un’amica scomparsa), ci si trova di fronte a incipit struggenti come questo: «Dopo di te / sono spopolata, / una nuvola senza popolo delle nuvole, / un’anima senza angoli, / spazzata da un vento impetuoso. / Un nòcciolo senza frutto», così come forte è l’eco delle ferite riportate nel corso della vita («C’è un male / che non aggiunge male / sgombera spazio / lo vara tagliando / la corrente del superfluo,/ l’automa dell’anima. / C’è un male / che fa guarigione: / dare la ferita / bilancia il polso / luccica semplice la lama / e lo spazio sgombro / addestra / il cuore spogliato. / È difficile / a qualsiasi età / diventare adulti, / lasciar fare al macellaio / o all’autunno, / un’arte caritatevole»). Occorre però aggiungere che non per questo ci troviamo di fronte a una poesia cupa o rassegnata, anzi. Al contrario, attraversato il dolore e le ferite dell’esistenza (i lutti, le perdite…), la poesia di Chandra Livia Candiani è colma di accettazione
e amore per la vita, portatrice di un’istanza di riconciliazione con se stessi e con il mondo che ha il dono, il tocco della leggerezza, di una leggerezza profondamente consapevole e sapiente. La bambina pugile, la fatica di vivere che ci accomuna come creature inermi ed esposte, si sviluppa nella precisione dell’amore, ovvero nella risorsa della condivisione dei sentimenti e delle porzioni di bellezza e meraviglia che il mondo può offrire: «La furia d’esser viva / nella notte / sotto la polvere dei crolli: / sono in frammenti / tutti vivi, / c’è un urlante / silenzio bambino / ha i graffi / libera tutti. / La tigre giovane / che
mi abita / percorre i secondi / misura il mio torace / ha zampe forti / per accogliere il dono / del respiro / che spunta appena, / appena nato».
Visivamente, l’elemento che caratterizza la poesia di Candiani è la verticalità, in un continuum di lasse, quasi un flusso karmico, che si giustappongono attraverso le tre sezioni del libro, «come abbracciate fra loro», suggerisce la quarta di copertina. Un possibile accostamento, per quanto riguarda la tradizione italiana del Novecento, è con la poesia di Saba, «poeta della facilità e della trasparenza», come ha scritto Giovanni Raboni, «la cui liscia compattezza, l’assenza, in essa, di ogni estrosa escrescenza o rugosità sembrano fatte apposta per scoraggiare chi nell’oggetto letterario cerca soprattutto, come uno scalatore, qualcosa di sporgente a cui aggrapparsi», dunque latore di un “mistero” interpretativo, proprio per la compresenza di «spontaneità melodica e profondità tematica». Altra affinità che intravedo, conoscendo bene la poesia di entrambe, è, fra i contemporanei, quella con Mariangela Gualtieri, talento altrettanto genuino e solare quanto stratificato, e, come Candiani, irriducibile a schemi classificatori, accademismi o consorterie letterarie.
Furono proprio queste caratteristiche, negli ormai lontani Anni Novanta, a colpirmi, nella scrittura di questa scrittrice: l’immediatezza coniugata alla profondità, la semplicità di fondo che riusciva e riesce a veicolare contenuti di grande sapienza esperienziale e profondità di pensiero… ovvero, quella che si potrebbe definire la qualità ossimorica dei suoi versi, da un lato immediatamente fruibili e godibili, pur essendo il distillato di una grande esperienza di vita e metabolizzazione di pensiero. Emblematiche a questo proposito le Mappe di cui la raccolta è costellata: Mappa per l’invisibile, Mappa per l’ascolto, Mappa per l’infanzia, solo per citarne alcune. “Infanzia” è un’altra parola chiave, per la poesia di Candiani, un’infanzia lontanissima dai
cliché, non si tratta infatti di ingenuità o naïveté, candore di maniera, ma è una qualità che si esprime piuttosto tramite l’inesausta disposizione alla fiducia nel mondo e negli altri generata da una consapevolezza che, come si è detto, oltrepassa il dolore e la negatività delle cose, facendone tesoro in nome di una condivisione, o solidarietà esistenziale, che alleggerisce il singolo e crea legami. Dunque empatia, che, è un’altra delle caratteristiche della poesia di Chandra Candiani, un’empatia che sfiora lo slancio fusionale col mondo («una faccia spalancata / al cosmo»), in nome di una coralità che le deriva anche dalla grande tradizione letteraria russa da lei molto frequentata, in ragione peraltro di radici familiari slave.
Un’autrice, viene da dire concludendo la recensione, che, come altre personalità poetiche emerse nell’ultimo ventennio (Elisa Biagini è uno di questi nomi), sprovincializza la tradizione poetica italiana, connettendola a tradizioni culturali lontane di cui reca l’impronta, e aprendone gli orizzonti.
Giovanna Rosadini
tre testi della raccolta:
*
Tu tienimi
e io mi trasformerò in meraviglia,
tra le tue mani,
al caldo,
quel caldo che di notte
fa crescere il grano.
Porta
il corpo amato,
come vita segreta –
preservata –
sotto lo spesso ghiaccio
della memoria.
Tu tienimi
come guscio di noce
nel pugno
fessura tra i mondi.
C’è silenzio tra te e me
c’è perla.
Ti tengo.
*
E poi le mani
si sono lavate
si sono sdraiate
in grembo
hanno dormito
percorse dal tempo
si sono salvate
una sull’altra
custodia di gesti.
Se non ti tengo,
avvolgi le dita di luce,
fai il pugno,
tu resta.
*
Certe mattine
al risveglio
c’è una bambina pugile
nello specchio,
i segni della lotta
sotto gli occhi
e agli angoli della bocca,
la ferocia della ferita
nello sguardo.
Ha lottato tutta la notte
con la notte,
un peso piuma
e un trasparente gigante
un macigno scagliato
verso l’alto
e un filo d’erba impassibile
che lo aspetta
a pugni alzati:
come sono soli gli adulti.
la recensione di Giovanna Rosadini a Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore (Torino, Einaudi, 2014) è stata pubblicata integralmente
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