Atelier 90: “La cultura critica nella società di massa” – Intervento di Guido Mattia Gallerani

ATELIER90 Atelier 90 
La cultura critica nella società di massa

Dall’intervento di Guido Mattia Gallerani
La «crisi della critica» dal punto di vista del «lettore»

[…] La maggior parte dei richiami alla crisi della critica, infatti, non è orientata in senso disciplinare – volti cioè a stabilire il senso di una attività, la critica, che ovviamente si esercita metacriticamente anche contro sé stessa mentre si rivolge a criticare le tendenze e i testi: ripensando continuamente sé stessa la critica non può che esercitare, in una sorta di autoda-fé, la propria autocrisi. […] Con crisi della critica si intende più spesso la crisi del suo contesto, cioè la scomparsa di un pubblico che segua, più o meno regolarmente, il dibattito attorno alla letteratura nel suo farsi. In questo senso soltanto mi pare legittimo parlare di crisi della critica militante, cioè di una possibilità di intervento attivo e critico nel contesto, soprattutto sociale, della comunicazione letteraria. Proprio per questo dovremmo ragionare sul fatto che la nostra conoscenza attuale della sfuggente figura del lettore è totalmente insufficiente. L’avvenimento presunto della morte della critica sarebbe ben meno doloroso se non fossimo costretti a scontrarci con una strana realtà, cioè che i testi poetici circolano maggiormente rispetto al passato, favoriti dallo sviluppo delle reti e dei mezzi di comunicazione digitale, e che dei testi si parla forse più di prima. Dalle riforme della scolarizzazione – esito del 1977 –, dall’introduzione dei mezzi della comunicazione di massa – dalla televisione fino ai social media –, dalla trasformazione dei prodotti culturali secondo i mutati desideri dell’individuo – per cui la cultura di massa ha elaborato, nel quadro delle innovazioni tecnologiche ed economiche, nuove forme di soddisfacimento, tanto a livello sociale e collettivo quanto pulsionale ed individuale –, il numero degli alfabetizzati e dei consumatori di cultura è cresciuto esponenzialmente in Italia. […] Rivolgendomi a riflettere sull’esperienza odierna della poesia, direi che si possono individuare tre tipologie di pubblico ancora in vita: il «professionista della poesia», cioè colui che si muove all’interno del campo poetico con un qualche interesse sociale, sia quello dell’autore, dell’editore o di altre figure che vogliono entrare nello scambio di mercato come stakeholder di soldi privati (distributori, associazioni, premi letterari) o pubblici (festival); il «lettore», nel senso tradizionale del termine, che legge i testi, su carta o in rete; infine colui, che progressivamente ne usurpa la funzione e ne prende il posto, l’«ascoltatore». L’ascoltatore della poesia mi sembra sia la nuova figura sorta dalla moltiplicazione, almeno in Europa e in Italia, di quella forma di legittimazione sociale della poesia che sono i festival letterari. Anzi, credo che possa essere più utile pensare la figura del lettore in rete della poesia come quella di un ascoltatore, che non necessariamente si concentra sul testo nei modi della lettura su carta, poiché la poesia gli giunge (ambiguamente) in forma gratuita e spesso indistinguibile all’interno del rumore di fondo della comunicazione odierna: una confusione che, però, non ne preclude la fruizione, ma che forse è un’altra modalità di ricezione della poesia che ancora non siamo in grado di concettualizzare. La concentrazione su cui si basava il processo anteriore di lettura non pare, forse, più possibile nel contesto della comunicazione di massa. I passati criteri di lettura – quell’esperienza di lettura meditata o evasiva, ma sempre temporalmente separata dal negotium e che ogni piccolo borghese confesserebbe come imprescindibile – hanno lasciato spazio ad altre regole e principi: non solo l’onnipresenza della connettività, degli schermi e la velocità delle parole e della scrittura modificano l’esperienza stessa della lettura, ma – almeno per quanto riguarda la classe “piccolo-borghese” degli intellettuali – anche le forme del tempo libero, in quanto complementari a quelle delle loro attuali attività lavorative, non sembrano più consentire nient’altro che una precarizzazione della lettura e, di conseguenza, della stessa attività critica. […]


 

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