Umberto Piersanti è nato a Urbino, dove tuttora vive e insegna. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche: I luoghi persi (Torino, Einaudi 1994), Nel tempo che precede (Ibid., 2002), L’albero delle nebbie (Ibid., 2008) e Nel folto dei sentieri (Milano, Marcos y Marcos 2015). A sua firma anche saggi e opere di narrativa: L’uomo delle Cesane (Camunia 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio 2001), Olimpo (Avagliano 2006), Cupo tempo gentile (Marcos y Marcos 2012 ); è anche autore di film (L’età breve, 1969-1970; Sulle Cesane, 1982). Tutte le raccolte precedenti le tre sillogi edite dalla Einaudi sono uscite in un unico volume dal titolo Tra alberi e vicende ( Archinto 2009).
Umberto Piersanti
(inediti)
La sosta
non so se da un presepe
dentro la pieve
la più spersa tra i monti
o dal Carpegna
scendono i miei pastori
giù nella valle
in un’età remota,
la più remota,
prima d’ogni altra storia
o vicenda,
di nere nubi il cielo ricoperto,
latra il lupo tra i greppi
verso il querceto
nella breve radura
tra piante immense
ora s’alza un gran fuoco
che rischiara la lanugine bianca
degli agnelli,
riscalda mani tese,
anche le ossa
dormono i miei pastori
presso il fuoco,
stesi nel muschio
che la fiamma non scalda,
sognano acqua chiare
limpidi prati,
nera e fredda la notte
e l’alba che li attende
così lontana
Greppi
greppi, non burroni,
colli o fossi,
greppi amati
dove con la sorella per la mano
colsi il muschio gelato
del dicembre
in un’età remota
così remota
che il sogno non uguaglia,
greppi che il pruno
imbianca a marzo
e il lupino ricopre
d’un suo rosso acceso
quando il sole scende
così tardo sul Carpegna
e fa i campi arancioni
giù fino al mare,
greppi attorno alla casa
dell’antico dove scendo
col padre tra i filari
di limpido bianchello,
delle fiamme odorose
di bersigana
quante volte
sdraiato sul falasco
hai visto la poiana
alzarsi in volo,
la biscia scivolare
tra sassi bianchi,
scendere le palombe
alla marina
e tra le nevi di febbraio
fugaci
l’elleboro precedere
ogni altro fiore
e poi gli amori
giocati tra l’erbe
le cosce bionde e brune
i capelli sciolti,
la più felice è l’ora
che s’inoltra
come quel vento azzurro
tra fitti greppi
più d’ogni ruga
che salga alla fronte,
più della vista
che s’appanna e confonde,
è il ginocchio che si piega
e non tende
a fare cupo il giorno
gelato il sangue
greppi, greppi amati
più non salgo
tra voi
col vento in faccia,
anche sul piano
ora arduo è il cammino,
goffo e incerto
striscia il passo
sul terreno,
se tenta di salire
i greppi verdi
non s’inarca il ginocchio
ma si piega,
restano le erbe
e i fiori così distanti
solo un poco
conforta la memoria
dei greppi luminosi
e le vicende
così perse e remote,
così presenti
Campi d’ostinato amore
I cori che vanno eterni
tra la terra e il cielo,
ma tu li ascolti
Jacopo quei cori?
ho visto
il falco in volo
con la serpe
trafitta nella gola
dai curvi artigli,
l’estremo pigolio dell’uccelletto
che la biscia verdastra
afferra e ingoia,
tra i rami non s’aggirano
le ninfe,
un giorno le incontrai
in remoti boschi,
l’assurdo poco oscura
nevi e foglie
non scolora i bei crochi
nei greppi folti,
ma il tuo male
figlio delicato,
quel pianto che non sai
se riso, stridulo
che la gola t’afferra
più d’ogni artiglio,
questa bella famiglia
d’erbe e animali
fa cupa
e senza senso
e dolorosa
siamo scesi un giorno
nei greppi folti,
abbiamo colto more
tra gli spini,
ora tu stai rinchiuso
nelle stanze
e il mio ginocchio che si piega
e cede
a quei campi amati,
d’un amore ostinato,
sbarra l’entrata
aspetto i favagelli
del febbraio,
tiepidi contro il gelo
sbucare fuori
Febbraio 2017
Fotografia dell’autore © Serena Campanini-Elisabetta Baracchi, per il poesiafestival 2013