Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato a Siena. Vive a Roma dove ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016), Le morti felici (Il Canneto, 2018), Le voci sopravvissute (Gattomerlino, 2020), Il matto di Leningrado (Gattomerlino, 2021), Canzonacce (Delta3, 2021) e Un quoziente di gioia (Fve, 2023). Attualmente scrive sulle riviste “Niedern Gasse” e “Morel, voci dall’isola”.
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Danielle
(ad Angelica Grivèl Serra)
«Qualcuno deve aver dichiarato una guerra mondiale. Ma non c’è bisogno, in verità, di dichiararla. Danielle è morta. Prima di essere morta era viva, e si chiamava Danielle. Aveva la sindrome di Asperger, e non solo. Era nata col nome di Kayden. Ma il corpo di Kayden non le assomigliava, lei si sentiva Danielle. Chiusa dentro la sindrome di Asperger, chiusa dentro il corpo di Kayden, aveva scelto di diventare Danielle. E sua madre la chiamava così: Danielle.
Danielle aveva un cane che la salvava quando cercava di farsi male. Aveva degli amici, alcuni accanto a sé, altri nel mondo. Lanciava video come messaggi in bottiglia, li lanciava su You Tube e tutto il mondo sapeva di lei, sapeva che aveva scelto di scarcerare Danielle da Kayden, di scarcerare l’intelligenza per andare al college. Ma le autorità cittadine hanno scelto di farla restare in carcere, le hanno negato i fondi per il college. Danielle lo ha raccontato su You Tube. Tutto il mondo lo ha visto. Ma la porta della prigione s’era chiusa.
Qualcuno deve aver dichiarato una guerra. Perché Danielle si sta facendo male, lo fa spesso perché ha la sindrome di Asperger e tante altre cose. Danielle è in casa, qualcuno entra e spara. E Danielle non esiste più, Danielle è un angelo. Nessuno dovrà spiegazioni. Danielle stava usando un coltello, ma lo usava contro se stessa. Il cane sapeva come salvarla. Ma qualcun altro è entrato in casa che non era il cane, era un uomo armato, qualcuno delle autorità cittadine; dice che Danielle gli ha puntato il coltello; l’ha uccisa.
Nessuno dovrà spiegazioni. C’è una guerra sottile e nessuno l’ha dichiarata. Dicono che un gruppo di persone, non numerose ma forti, nate col culo al caldo, nate col culo d’essere tutte uguali e di non aver provato alcun dolore, ha dichiarato guerra a tutti gli altri. Che siano profughi, donne, froci o gente di colore, siano zingari Asperger senzatetto disoccupati o anche solo gente che soffre, loro li cancellano, a poco a poco.
C’è una guerra mondiale e nessuno l’ha dichiarata. Non occorre dichiararla: gli uguali sono già d’accordo. Sono pochi, ma sono i più forti. E gli altri spariscono, a poco a poco. Cadono gli angeli come cade la neve: come cade la neve, e poi si scioglie.»
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I gatti del porto
(a Gaia Boni)
Timidi e paurosi si avvicinano i gatti. Li chiami, non ti ascoltano. Sentono solo l’odore del cibo. Studiano il tuo corpo e decidono se sei amico o nemico. Non parlano perché con la parola si mente. Ma cantano, perché nel canto non si mente. Anche tu, perché ti ostini a tradurre in parole i canti e suoni che ti scoppiano in cuore? Le parole sono ombre di ombre. Lancia come palloni le parole, fai come i gatti e cantale! I gatti si avvicinano. Prima il gatto dominante, poi gli altri si fanno d’attorno al tuo cibo. Non chiedono altro. Non chiedere ai gatti di parlare. Ma guarda il loro corpo. La loro compagnia è più intensa se sono distanti. Guardali! La natura ti parla nei gatti. La natura ha paura. I gatti del porto: belve bambine che si muovono come ombre. Piccoli autistici impauriti da tutto fuorché dalle loro abitudini. Guardali e impara. Getta i significanti nel canale: abboccheranno alla rete di qualche pescatore! Il senso non esiste. I gatti lo sanno. Lasciati andare alla tua buffoneria, lanciala come un pallone. Vestiti del silenzio, vesti del canto dei gatti…
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Una repubblica privata
(a Ilaria Seclì)
«Quando ero piccolo ho volato. Ero in piedi su un tavolo, quando mi sono librato in volo. Il mio corpo per alcuni secondi ha levitato. Poi sono atterrato sull’erba. Bella età, l’infanzia. Ero così puro che anche gli oggetti mi obbedivano. Chiedevo alla palla di tornare indietro e la palla, come fossi un Messia, tornava indietro. Prevedevo il momento esatto in cui si sarebbe acceso il lampione. Ero un bambino prodigio. Ricordavo tutto. Prendevo il calendario di agosto e, in pieno ottobre, ricordavo giorno per giorno cosa avevo fatto sotto gli occhi allibiti dei miei genitori. Loro non mi capivano. Io ero amico di tutti gli animali. Sentivo la loro sofferenza, la loro innocenza, e la sento tuttora. L’uomo sbaglia a credersi superiore: è solo un animale spocchioso, talmente spocchioso da essersi inventato un Dio per poter dire d’essere fatto a sua immagine e somiglianza. Secondo me gli animali non hanno voluto per sé i privilegi dell’evoluzione perché ne avevano intuito prima di noi i guasti, e prima di tutto il danaro. Per non avere a che fare col danaro sono rimasti nei boschi e nelle acque. Sono più intelligenti di noi. Io odio il danaro. Nella mia famiglia si parlava solo di danaro, e io odiavo la mia famiglia. Sognavo di essere in qualsiasi altro luogo e in qualsiasi altra epoca. Una volta ho letto un libro su un tizio che aveva sviluppato sedici personalità non comunicanti per sfuggire alle angherie della sua famiglia. Io non sono pazzo come lui. Poco importa. Dopo aver frequentato un po’ il mondo del lavoro ho preferito la compagnia degli animali. Quando lavoravo, ascoltavo tutto il giorno volgarità e razzismo. Andavo al bagno a riposarmi le orecchie perché preferivo la compagnia del cesso a quella dei miei colleghi. Ora sono tornato al mio amore d’infanzia, gli animali. Ho fatto una colonia felina e l’ho recintata. Lì valgono solo le mie leggi. E se qualcuno viene a disturbare i gatti, noi gli rispondiamo: -Questa è una repubblica privata, dove noi siamo signori e tutti uguali. Non c’è razzismo qua. Vogliamo solo essere lasciati in pace.»