di Sarah Talita Silvestri
Romantica e surrealista, notturna e dionisiaca, visionaria e profetica, la poesia di Vicente Aleixandre si colloca in una dimensione, minimale e massimale assieme, priva di etichette, dove resta unicamente la sua ispanicità, che può essere riassunta nella sentenza cioraniana: «Per noi la Spagna è una fiamma, per Dio un incendio» [₁]. Inserito nell’antologia dei poeti surrealisti spagnoli dal Bodini, che assieme a Juan Larrea lo considera il solo professionista tra gli esponenti di spicco della «Generazione del ‘27», in quanto la sua condizione surrealista non resta limitata nel tempo, bensì è requisito costante della sua poetica, Aleixandre è in realtà una figura eclettica, che scandaglia strade diverse ed opposte. Lo stesso poeta, premio Nobel 1977 per la letteratura, diceva di sé: «Qualche volta ho scritto che io non sono, né sono stato un poeta strettamente surrealista, perché non ho mai creduto nella base dogmatica di quel movimento: la scrittura automatica o la conseguente abolizione della coscienza artistica» [₂]. Nato a Siviglia il 26 aprile del1898, andaluso come molti altri esponenti della «Generazione del ‘27», trascorre l’infanzia a Malaga e poi a Madrid, dove si laurea in legge e ottiene il titolo di intendente mercantile, mentre l’incontro con Dámaso Alonso costituisce una presa di coscienza di una ineluttabile vocazione poetica. Nel 1924 inizia a scrivere i versi che confluiranno nel suo primo libro, Ámbito, pubblicato nel 1928. Nel frattempo conosce Juan Ramon Jimenez e stringe preziose e fertili amicizie con Federico Garcia Lorca, Luis Cernuda, Emilio Prados, Moreno Villa, Manuel Altolaguirre, inizia a collaborare al «Litoral» e legge Freud e Joyce. Tuttavia quella di Aleixandre è un’esistenza appartata, lontana dalla vita letteraria a causa della sua infermità, che spesso funge anche da alibi: una nefrite tubulointerstiziale che minerà la sua salute, e che lo condurrà a cercare il conforto della lettura legando la sua storia ad una pronuncia quotidiana e completa dell’amore [₃]. La poesia spagnola del Novecento resta una delle giganti realtà della letteratura del secolo e vede in Vicente uno dei massimi protagonisti, che ha goduto peraltro dell’attenzione di importanti ispanisti italiani, da Carlo Bo a Oreste Macrì, da Vittorio Bodini a Dario Puccini, da Roberto Paoli a Francesco Tentori Montaldo. Nel 1931 le sue condizioni di salute peggiorano, per cui l’anno successivo gli viene asportato un rene e, costretto a letto, scrive. Pubblica Espadas como labios e nel 1935 vengono pubblicati La destrucción o el amor a Madrid e Pasión de la tierra in Messico. Se tutta la poesia di Aleixandre è una panica dissolvenza di ciò che è umano con l’universo, è con il suo ultimo florilegio, Poemas de la consumación, pubblicato nel 1968 e poi tradotto da Francesco Tentori Montaldo per Rizzoli nel 1972, che possiamo cogliere la sua voce nella “vendemmia della sua vita”, la parola matura che intravede la meta della propria esistenza, che tira le somme con la saggezza dei vecchi «che all’estremo della vita, / sull’orlo della fine, stan sospesi, / senza cadere, come se per sempre » [₄].
Dilaniato tra i ricordi di giovinezza e la decadenza della vecchiaia, i cui segni vengono indagati con “goyesca” precisione, come dice Montaldo, si assiste immobili ad uno scorrere immediato e lapidario, sentenzioso ed essenziale: un agone che vede Vita e Morte lottare senza sosta, senza che nessuna delle due alla fine abbia la meglio. Un eterno dualismo apparente che risale dalle profondità e diventa forza creatrice sulla pagina. Solo poche parole per la desolazione in questa poesia tradotta magistralmente da Giovanni Ibello, solo poche parole per la vita vissuta, per la nostalgia della giovinezza, per l’amore che senza tregua vive, per il fuggire del tempo e il suo incessante ritorno, per quello che indelebile resta immutato: grandi alberi e gemiti nella pace, / il fu della fiamma e della brace, le venature / e l’oltremare, il mare buio, con le sue spine di sonno / e a riva della grazia i resti ormeggiati.
Note
[₁] E. M. Cioran, Lacrime e santi, Adelphi 1990, p. 63.
[₂] S. Grasso, Il poeta e il surreale, in V. Aleixandre, Spade come labbra, Guanda 1977.
[₃] Ibid.
[₄] V. Aleixandre, Poesie della consumazione, Rizzoli 1972, p. 21
Bibliografia
– V. Bodini, I poeti surrealisti spagnoli, Einaudi 1963.
– V. Aleixandre, Poesie della consumazione, Rizzoli 1972.
– V. Aleixandre, Spade come labbra, Guanda 1977.
Poche parole
Poche parole
al tuo orecchio. Poca è la fede dell’uomo che esita.
Vivere a lungo è l’abisso, il dardo del sapere è il non sapersi.
Eppure io parlo. Ripetano i miei occhi quel che tracciano.
La tua grazia e il nome, del fiume il pianto, e il bosco,
tutti i soli del mondo.
Ogni cosa vista è tenuta. Questo ripetono gli occhi.
Se li interroghi otterrai risposta, loro non chiedono.
Perché se poi dalla luce snodano
il colore, e dall’oro il fango
e dal sapore il suo pozzo diamante,
indietro non lasciano i baci e i suoni e gli odori;
hanno visto grandi alberi e gemiti nella pace,
il fu della fiamma e della brace, le venature
e l’oltremare, il mare buio, con le sue spine di sonno
e a riva della grazia i resti ormeggiati.
Solo poche parole mentre qualcuno tace;
quelle del vento tra le foglie, e io ti bacio.
Poche parole facili se nel tuo seno trovo commiato.
Batte l’acqua sulla pietra. Io sono calmo e muoio.
*
Unas pocas palabras
Unas pocas palabras en tu oído diría.
Poca es la fe de un hombre incierto.
Vivir mucho es oscuro, y de pronto saber no es conocerse.
Pero aún así diría. Pues mis ojos repiten lo que copian:
tu belleza, tu nombre, el son del río, el bosque,
el alma a solas.
Todo lo vio y lo tienen. Eso dicen los ojos.
A quien los ve responden. Pero nunca preguntan.
Porque si sucesivamente van tomando
de la luz el color, del oro el cieno
y de todo el sabor el pozo lúcido,
no desconocen besos, ni rumores, ni aromas;
han visto árboles grandes, murmullos silenciosos,
hogueras apagadas, ascuas, venas, ceniza,
y el mar, el mar al fondo, con sus lentas espinas,
restos de cuerpos bellos, que las playas devuelven.
Unas pocas palabras, mientras alguien callase;
las del viento en las hojas, mientras beso tus labios.
Unas claras palabras, mientras duermo en tu seno.
Suena el agua en la piedra. Mientras, quieto,
estoy muerto.
***
Bacio postumo
Sia silenzio ancora la mia bocca sulla tua,
io ti respiro. O sogno nel vivere, o vivere.
L’arcadia della vita è dentro il bacio
che di sé stesso vive e senza noi risplende.
Siamo la sua ombra. Se il bacio è il corpo,
noi non siamo.
*
Beso postumo
Así callado, aún mis labios en los tuyos,
te respiro. O sueño en vida o hay vida.
La so spechada vida está en el beso
que vive a solas. Sin nosotros, luce.
Somos su sombra. Porque él es cuerpo
cuando ya no estamos.
Traduzioni a cura di Giovanni Ibello