Mohammed Khaïr-Eddine, esercizio di lettura
1) Leggi il testo e trova l’ordine più adatto per costruire l’introduzione alla poesia «Barbare» di Mohammed Khaïr-Eddine.
– Qualche tempo fa, al ritorno da un viaggio in treno a Marsiglia, il mio amico Carlos, anch’egli membro del Groupe Surréaliste en Clandestinité, mi aveva proposto di vederci per parlarmi di un poeta che aveva scoperto da poco su un’antologia dedicata al surrealismo e che, a suo dire, rappresentava quanto meglio possibile l’idea di clandestinità sulla quale volevamo fondare il nostro collettivo.
Sulla banchina affollata della Gare de l’Est, la sua mano si agitava nell’aria stringendo un libro di poesie della collana tascabile delle edizioni Gallimard. A causa della pioggia intermittente, abbiamo deciso di andare in uno dei caffè vicino la stazione, l’Extérieur Quai. Mentre la radio annunciava un miglioramento delle condizioni metereologiche soltanto per la settimana successiva, ordinammo da bere, iniziammo a raccontarci le ultime novità, ordinammo nuovamente da bere e poi, il ricordo che ho, è quella di un’ubriacatura smodata, di cui non saprei dire con certezza se gli effetti siano terminati o meno, né a cosa fosse dovuta, se alla birra di cattiva qualità, alla stanchezza, all’euforia o se fosse dovuta, invece, a Mohammed Khaïr-Eddine, di cui, quella sera, leggemmo una a una tutte le poesie di Soleil Arachnide, il libro che poco prima Carlos sventolava nell’aria, al mio arrivo a Gare de l’Est, per indicare la sua posizione nel marasma della folla che si riversava sui binari o, forse, a pensarci ora, come se fosse una convulsione, il capolinea di un’attività nervosa di cui era del tutto inconsapevole, oppure una sorta di coreografia da eseguire per un rito di iniziazione di cui ero ancora ignaro, o, infine, ed è forse l’ipotesi più probabile visto ciò che seguì, una richiesta di soccorso, il tentativo che compie un corpo per produrre l’ultimo movimento per evitare il naufragio e l’annegamento.
– Mohammed Khair-Eddine (Tiznit, Marocco, 1941 – Rabat, 1995), poeta e romanziere marocchino di lingua francese.
– Negli stessi giorni leggevo Les Damnés de la Terre di Franz Fanon.
– Riffat al-Aareer, poeta palestinese nato nel 1979 a Gaza, morto durante un bombardmento israeliano, il 6 dicembre 2023; Noureddine Hajjaj, poeta e novellista, nato a Gaza nel 1996, ucciso il 3 dicembre 2023 da un missile lanciato dall’esercito israeliano mentre si trovava in casa (in una lettera del 28 ottobre così si presenta: «mi chiamo Noureddine Adnan Hajjaj, scrittore palestinese. Ho ventisette anni e molti sogni. Non mi riduco ad essere un numero e rifiuto di credere che la notizia della mia morte passi inosservata, senza che si possa dire che quest’uomo amava la vita, la felicità, la libertà, il sorriso dei bambini, il mare, scrivere, Fayrouz, e tutto ciò in grado di riempire di gioia prima che tutte queste cose non scompaiano per sempre con uno schiocco di dita»).
– Mohammed Khaïr-Eddine è tra i fondatori della rivista Souffles, pubblicata a Rabat tra il 1966 e il 1971. Nell’editoriale del primo numero, il direttore, il poeta Abdellatif Laâbi, scrive: «Qualcosa si prepara in Africa e negli altri paesi del Terzo Mondo: l’esotismo e il folclore vacillano. Nessuno può ancora prevedere cosa questo pensiero “ex pre-logico” saprà offrire al mondo. Ma il giorno in cui i veri portavoce di queste collettività riusciranno a farsi ascoltare davvero, sarà come una carica di dinamite che esploderà nelle arcane, corrotte fondamenta dei vecchi umanesimi.
Non è più tempo di giocare con parole sfinite dall’uso e dalla propaganda. Scrivere non può significare applicare ricette né cedere al conformismo delle mode o al sentimentalismo di chi, potente o in cerca di potere, strumentalizza la parola.
La poesia resta l’ultima possibilità per l’uomo di affermare la propria dignità, di non essere inghiottito dal numero, di lasciare impresso per sempre, nella forza di un grido, il suo respiro».
– Mohammed Khaïr-Eddine si distingue per una scrittura esplosiva e radicale, segnata dall’urgenza politica, e da un’espressione visionaria dovuta alla volontà di coniugare il decolonialismo sia nell’azione politica che in quella poetica.
– Tra le sue raccolte più celebri: Nausée Noire (1964), Soleil Arachnide (1969), Ce Maroc! (1975), Résurrection des fleurs sauvages (1981) e il romanzo Agadir (1967).
– La decolonizzazione dell’immaginario si apparenta all’azione surrealista. Mohammed Khaïr-Eddine scriverà una poesia in occasione della morte di André Breton, Rifiuto d’inumare, che si chiude con queste parole: «Saluto questo cavallo caduto dal picco più alto / André Breton / da cui la poesia sgorga come una magia / poesia mio obitorio mia serenità e mio naufragio».
– La poesia di Khaïr-Eddine è fortemente influenzata tanto dalla cultura amazigh quanto dalla lettura precoce di Rimbaud fatta durante l’adolescenza per scansare, come dirà lui stesso in un’intervista, il rischio e la tentazione di entrare tra le fila degli assassini. Tornare constantemente a Rimbaud per prolungare ancora le ore felici della prima infanzia, i venti salubri, i bagliori del sole, la purezza della montagna, del torrente, del deserto e opporre con tenacia queste bellezze perdute alla bruttezza galoppante della miseria in cui vivrà la maggior parte della sua esistenza.
– I poeti Abdellatif Laâbi e Mostafa Nissabouri, con i quali aveva scritto il manifesto Poésie-Toute, in un’intervista ricordano come Khaïr-Eddine «avesse espresso la volontà di stabilire una lista di parole che dovevano essere vietate in poesia».
– A undici anni à Rivolta contro il padre à contro la famiglia, la religione, l’autorità.
– La poesia di Mohammed Khaïr-Eddine è un itinerario aperto e non definitivo, una sosta, o un movimento che si definisce nel suo stesso movimento, un verbo al gerundio, un ponte che salta, dinamitato nelle proprie fondamenta.
– 1965: arriva in Francia. È ospitato dapprima in un pensionato collettivo, a Gennevilliers, nella periferia di Parigi. Inizia a lavorare come operaio. Inizia una vita errante, senza dimora fissa, seguendo il ritmo degli incontri fortuiti e dei sussidi ottenuti dai contributori che è riuscito a sollecitare e tra in quali ci sono Sartre, Leiris, Beckett.
– Diario: aprile 2025. Durante una riunione del Groupe Surréaliste en Clandestinité, ho voluto leggere ad alta voce l’intero capitolo finale de Les Damnés de la terre. Riporto per intero l’ultimo paragrafo. «Fratelli, compagni, se vogliamo che l’umanità avanzi d’un grado, se vogliamo portarla a un livello diverso da quello in cui l’Europa l’ha manifestata, allora occorre inventare, occorre scoprire. Se vogliamo rispondere all’attesa dei nostri popoli, bisogna cercare altrove che non in Europa. Inoltre, se vogliamo rispondere all’attesa degli europei, non bisogna rinviare loro un’immagine, anche ideale, della loro società o del loro pensiero per i quali essi provano saltuariamente un’immensa nausea. Per l’Europa, per noi stessi e per l’umanità, compagni, bisogna rinnovarsi, sviluppare un pensiero nuovo, tentare di metter su un uomo nuovo».
– Le frequenti crisi dovute all’alcolismo e una vita sempre più condotta nella miseria lo portano, nel 1979, a ritornare in Marocco. Muore il 18 novembre 1995 a Rabat.
2) Leggi la poesia «Barbare» di Mohammed Khaïr-Eddine e scegli l’epigrafe.
- Sento di avere talmente tante cose da dire che è meglio che non sia troppo colto. Devo conservare in me una sorta di barbarie, devo restare barbaro. (Kateb Yacine)
- E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? / Era una soluzione, quella gente. (Konstantinos Kavafis)
- Ora succede che, quando un colonizzato sente un discorso sulla cultura occidentale, afferra il suo machete, o perlomeno si assicura che sia a portata di mano. Oppure c/bis) Abbandoniamo questa Europa che non smette mai di parlare dell’uomo mentre lo massacra ovunque lo incontri, a ogni angolo delle sue stesse strade, a ogni angolo del mondo. (Franz Fanon)
- Hai fatto bene ad andartene, Arthur Rimbaud! I tuoi diciott’anni, refrattari all’amicizia, alla malevolenza, alla stupidità dei poeti di Parigi, così come al ronzio sterile d’ape della tua bislacca famiglia delle Ardenne, hai fatto bene a disperderli ai venti del mare aperto, a gettarli sotto il coltello della loro precoce ghigliottina. Hai avuto ragione ad abbandonare il boulevard dei pigri, le taverne dei piscia-poesia, per l’inferno delle bestie, per il commercio dei furbi e il saluto dei semplici. (René Char)
- Guarda questa pallottola e guarda il tuo fucile / sentili / e scoprirai che da essi emana / l’odore del tuo sangue e del mio / essi racchiudono il mio presente e il tuo passato / il mio presente e il tuo passato / il mio presente / e il tuo futuro / È per questo che siamo gemelli: / stessa traiettoria di vita / stessa arma / stessa prova / stessi tratti del viso / disegnati sul volto dell’assassino / Tutto si somiglia / tranne che, nella tua situazione, / la vittima si è trasformata in carnefice. (Rifaat al-Aareer)
3) Leggi la poesia «Barbare» di Mohammed Khaïr-Eddine e completa le frasi:
- La poesia esprime _____________ della parola.
- La rabbia
- La rivolta
- La poesia
- La debolezza
- La stanchezza
- L’inconsistenza
- Il tradimento
- La corruzione
- Il contrario
- Altro (scrivi la tua risposta): ________________
- La parola esprime ______________ della poesia.
- La rabbia
- La rivolta
- La poesia
- La debolezza
- La stanchezza
- L’inconsistenza
- Il tradimento
- La corruzione
- Il contrario
- Altro (scrivi la tua risposta):
* * *
BARBARO
essere, ma essere un corvo
con artigli abbastanza affilati
da aggrapparsi tra i tuoi corani di nafta prodigiosa
tra le cittadelle di panegirici
e gli astri schiusi dal maltempo come uova
musulmano lo sono fino all’autunno
fakiri, prendete tutto: il mio alfabeto
e i miei costumi da parata
sono stato sigillato da esplosioni
e da solfatare franate sui timpani delle onde
liane ascoltate
i geyser sputati dai miei segreti di sangue e ambra
di mirra e fionde,
colpi di calcio del sole, colpi secchi
di un boa in eruzione
nella smania del pericolo
il mio corpo di sterco e di schiuma
la mia anima tagliagole
sbraita
la strada come una cicatrice fiorita col polline
degli ombelichi
non è un’arma
questa serra di parole incurabili
mi uccide, mi schiaffeggia e mi crocifigge
inseguendo il sonno dei cetacei
sono un ramadan d’Orsa Maggiore
che disossa un groviglio di larve amare
ma tu preferivi rovistare nelle tumescenze della malattia
dissezionando il vasto fiume delle notti di gomma
i miei pensieri si erodevano in coppe di sangue corrotto
sputo il mio cuore,
il mio nome di fico bianco per lo sguardo delle zanzare,
il rovescio delle parole degli stami,
come le tue carni scandite in insulti
io lavoro
marcio argan di barbarie
nel caviale delle tue pupille,
contorno e disfaccio il tuo sorriso d’henné,
colombo-libellula che sorvola la sua era
contando i lampioni delle città intanate
tu infliggi una distorsione rossa alla mia alba
macerata nell’alcool delle risse
con un tanfo acre di regni sconvolti
che mi portano gli ultimi miraggi del vino,
fuochi selvaggi che corrono nella tonsura del vento
come cavalli strabici
sui petti senza epitaffio
essere, ma essere
parte di tutti i vostri sangui
per scarnificare il monsone che indica la strada
*
BARBARE
être mais être un corbeau aux serres assez vilaines
pour s’accrocher parmi tes corans de naphte inouï
parmi les koweits de panégyriques
et d’œufs d’astres écrasés contre le mauvais temps
musulman je le suis jusqu’à l’automne fakirs
prenez tout mon alphabet mes costumes de lucule
je suis scellé de détonations
et de soufrières éboulées sur les tympans des vagues
lianes écoutés
par les geysers de mes secrets de sang et d’ambre
de myrrhe et de frondes
les coups de crosse du soleil les coups flagrants
en éructations de boa
en imbécillité du péril
mon corps de fiente et d’écume
mon âme coupe-gorge
ruant
ni la rue comme une cicatrice fleurie au pollen
des ombilics
ce n’est pas l’arme
cette pépinière de mots sans remède
m’occit frappe me crucife
suivant un sommeil de cétacés
je suis un ramadan de Grande Ourse qui gruge
un gratin de larves amères
mais tu fouinais dans les tumescences du béri-béri
dépiautant le fleuve vaste des nuits de gomme
mes pensées s’érodaient aux timbales du mauvais sang
je crache mon cœur
mon nom de figuier blanc du regard des moustiques
à l’envers du dire des étamines
comme tes chairs scandées en injures
mauvaise arganier de barbarie
je travaille
dans le caviar de tes prunelles
je cercle et défais ton sourire d’henné
ramier aux ailes de libellule comptant son ère
au bec de gaz des billes en tanières
tu fais une entorse rouge à mon aube
macérée dans l’alcool des rixes
avec un relent acre de règnes incongrus
que m’apporte le dernier mirages des flutes
avec des feux-huants dans la tonsure du vent
mustang qui louche
sur les poitrines sans épitaphe
être mais être et de vos sangs
ronger la mousson indicatrice.
* * *
© Fotografia di dominio pubblico. Fonte: Wikimedia Commons.