Riccardo Benzina, “Scenario” (Taut, 2022)

A cura di Massimo D'Arcangelo

 

Al lettore, che intenda seguire le tracce di Scenario, capiterà di perdersi nell’intricato crocevia di storie che anelano al desiderio oscuro e liberatorio di affacciarsi alla fine.

A recitare è il senso di predestinazione respirato dentro una pace meridiana, indagato da entità che a fatica vivono un’esistenza dura, l’unica ad essere concessa.

Le rivelazioni tradotte in versi imitano i movimenti dei sogni, creano effetti iconici per raggiungere la realtà fino a superarla, come in una pièce teatrale nella quale gli interpreti scompaiono lasciando risuonare l’eco delle voci: quella oralità fossile che Riccardo Benzina chiede al lettore venga rievocata.

L’entroterra murgese, primo atto e ultimo confine terrestre prima della vita, richiama a sé la geografia confusa di un territorio indomabile e antico, mondo che una volta ha parlato e adesso è zitto.

 

 

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Sono giorni di pioggia ho camminato. Addio
Canneto e Montrone
e altre perse latitudini. La pelle
stiro per il matrimonio, o per il colloquio del funerale:
solo fumo e sterpaglie dove andavo.
Chi disse per primo il mio nome era mio padre adesso non è più.
Con la bocca aperta arida
il verbo cade, e sta cantando.
Lo sento nella voce quando dico:
dolori grandi come apocalissi
e curiosare per l’inferno io.
Che d’estate camminavo la pianura, e sempre
scollinando fino all’entroterra
non mi attendeva nulla. Proseguivo. Apertesi
le Murge come ultimo confine
terrestre prima della vita
arrivano le doglie, e presto il feto smetterà la sua natura.

Allora,
allora sono qui
perché ho sbagliato strada. I passi grigi
questi passi sono soli e senza via, fa lo spazio
come piroetta bianca disorienta.

Attraverso il marciapiede l’erba posso
dice la sua storia e è sussurri
prima di bruciare, poco.
Accarezza la memoria di sfaceli
scampati, e sfiora con accenni
il tragico forame del presente. Noi
siamo consumati da una morte
che sta di dentro e non verso la fine.
E però non c’è resa in questa morte,
e vicina mi bisbiglia
e la comprendo.

 

*

 

La punta dell’indice aderiva
perbene allo sguardo
di me bambino, che ero – avevo
latte, silenzio e verbi
di continuare. La casa per i compiti.
La grandine dei fatti. Avevo un amore
grande, di continuare.

E più prezioso è il segreto
più non lo si tollera. Non è silenzio
questo giro tremendo, scuola
dell’essere abbandonati.

 

*

 

Le porte restano chiuse. Sono pesanti
e comprensibili al prossimo.

Se ti affacci al monte vedi una
luce cremisi che viene dalle pietre.
La fine del fiume la schiena che si rompe.
I luoghi che si offrono alle vie.
Un ponte lunghissimo unisce
le sabbie della riva all’altra riva.
Riprende i vecchi sogni
da dove si erano interrotti.
Dove si è soli
dove si matura fino al coro.

 

*

 

Madre io vorrei
scrivere il pensiero di un cavallo
che corre, di un uccello che vola.
Ma non ci riesco, e il mio il dono
d’amore si fa ogni giorno più grande. Si fa
un inferno affamato una rappresaglia
l’ispirazione di una promessa dico. Quasi che
la bocca nascondesse per davvero ciò che parla
quasi che
la spina potesse per davvero continuare
a reggere gli eccessi della carne.
Ieri ho fatto un sogno in cui ero vivo
ancora, già,
e non di questa strana silice
che sono. Ho avuto assai paura
e grande ebbrezza.
Idillio e dissolvenza.
Ma lo spettacolo è finito, e deve continuare.

 

*        *        *

 

Riccardo Benzina (1988) è nato, vive e lavora in provincia di Bari. Suoi testi e opere visive sono apparsi su Utsanga, Minima, Inverso, L’Ulisse, Il cucchiaio nell’orecchio, Le Voci della Luna, Asymptote, Blackbox Manifold, Otoliths, Word For/Word e Die Leere Mitte.
Scenario (Taut, 2022) è il suo primo libro di versi.