Gli spostamenti del desiderio (Moretti&Vitali, 2023), diviso in sei sezioni, si giova di una quarta di copertina a firma di Giancarlo Pontiggia e di una prefazione di Alfredo Rienzi. La raccolta è introdotta da un brevissimo scritto dell’autrice, illuminante per entrare nella logica del libro: «Come è possibile accorciare la distanza tra due punti lontani di una superficie o tra due oggetti nello spaziotempo? Come si riduce la lontananza tra due stati della coscienza o tra due vissuti diversi? E tra due differenti momenti di una vicenda individuale o di una storia collettiva? L’immaginazione è abile in questo. Nel cinema, ricorre ai cuts del montaggio. Nella scienza, ai wormholes. Nell’arte figurativa, usa espedienti di prospettiva o di anamorfismo. Nella biografia personale di ciascuno, fa appello al desiderio, ridefinendo di continuo il senso del reale.»
Raffaela Fazio si premura di avvisare il lettore di come scopo del libro sia «accorciare la distanza» fra oggetti, persone, percezioni, facendo leva sul sentimento primordiale e incoercibile del desiderio e sui suoi spostamenti nei piani dell’esistenza. Si tratta, dunque, di una poesia della relazione che mira a creare (corto)circuiti e deflagrazioni, cogliendo consonanze nell’arte, nel cinema, nella letteratura e nella scienza, mettendole a sistema negli accadimenti della vita, mettendo ordine (rectius, accorciando le distanze) negli stati della coscienza. Del resto, Giancarlo Pontiggia fa correttamente riferimento alla riflessione sul senso dell’esistere come un «costante pungolo della scrittura», partendo «questa volta da una prospettiva inedita che è quella del desiderio».
Il desiderio è una forza fisica, come quella di gravità, o una delle quattro forze fondamentali del cosmo, incontenibile e ingovernabile, che accorcia, mantiene, tiene insieme, ma anche sposta la visione e l’asse del reale: «ricalibra il reale, modificando di continuo la visione e orientando il passo» scrive Pontiggia, il quale ricorda come ogni libro di Raffaela Fazio, oltre ad essere uno scandaglio interiore, abbia la consistenza di un quaderno morale. In tal senso, Gli spostamenti del desiderio si situa nel sentiero tracciato da Ti slegherei le trecce (Coazinzola Press, 2017), Midbar (Raffaelli editore, 2019) e Meccanica dei solidi (Puntoacapo editore, 2021) che si soffermano su eventi archetipici e vicende della mitologia, della storia biblica, ma anche della cronaca alla ricerca di scintille di verità, saggezza, amore.
L’amore, infatti, ha un posto importante e drammatico. Nella prima sezione, Black-out, Raffaela Fazio parla del desiderio come lutto, come amore che ha attraversato il crinale tra vita e morte, ma allo stesso tempo continua a unire, a generare somiglianze, fratellanze, condivisioni, quasi una sorta di entanglement quantistico del sentimento. È questa la sezione più bruciante e ferocemente vitale, dedicata al compagno improvvisamente scomparso, dove la scrittura si carica di accenti desolati ma (quale ossimoro!) vivi della morte, senza tuttavia scendere nella retorica dell’assenza: «se avessi saputo/ quanto è vera la morte / avrei silenziato/ l’assalto alle tempie/ usato altre armi/ avrei in me spogliato/ fino all’ultima maglia il nemico./ Se avessi capito/ che la morte non rende ciò che porta via/ in battaglia/ sarebbe stato il colpo/ non questo suono bianco/ incessante distorto/ di corno/ nelle retrovie.»
Come si osservava innanzi, Gli spostamenti del desiderio racconta di un desiderio come visione capace di distorcere la forma del reale nella dimensione della prospettiva. Sono i testi della sequenza Anamorfiche dove corpo, sensualità, affettività della relazione sembrano soggiacere a proiezioni, illusioni ottiche, deformazioni che appartengono al mondo del sogno e della memoria. Si tratta di un anamorfismo del desiderio e della poesia dove l’effetto ottico è dato dalla proiezione sui piani mentali e del cuore (perché Fazio e la sua poesia non rinunciano mai alla lente della passione) delle immagini della realtà.
Questi versi paiono acquisire, anche graficamente nella disposizione sulla pagine, tecniche proprie dell’arte, dell’architettura, del cinema: «il corpo che si tende/ la nebbia che trattiene/ la nebbia che nasconde/ il corpo che le appartiene/ hanno nel sogno/ la stessa natura// così sul fondo della memoria/ la cosa morta e la cosa viva/ sono appena un mutare/ di prospettiva// e nel passare/ dal sonno alla veglia/ la vita è uno sfaglio inatteso/ quasi animale/ l’istinto a tornare/ a un pulsare indistinto/ nel buio/ nel folto/ della boscaglia.»
Insieme all’arte, il cinema, e in particolare la fantascienza, è uno dei riferimenti del libro che porta l’autrice a ragionare sul desiderio come meccanica del cosmo, in grado – come ci avvisa la nota iniziale – di coniugare elementi distantissimi e/o opposti. In questo senso, la silloge si muove continuamente, nelle diverse sezioni, sulla verticalità di un asse tra il cielo e la terra.
Il cielo, come uno dei due poli della tensione “ad astra”, verso quelle stelle assenti ricordate dall’etimologia stessa del “de-sidera”; e la terra, come luogo da cui parte la prospettiva umana e la dinamica della passione, della ricerca. Anche la memoria ha un ruolo strategico nella raccolta: la memoria personale, del proprio vissuto, che è in grado di travalicare il tempo; la memoria dell’essere umano in quanto tale, come specie e, in definitiva, come popolo. Non a caso, il libro si chiude con una serie di poesie ispirate a personaggi della storia, della mitologia, della religione, tra cui Sophie Scholl, Diogene, Amos. Gli ultimi testi sono dedicati alla grandissima Etty Hillesum e al suo diario, testimonianza di un desiderio per la vita che ha saputo rimanere tale e rinsaldarsi proprio nelle tenebre più fonde: «dentro/ mi porto tutto/ anche a fatica, col fiato corto./ La vita, una cesta piena/ sino alla fine./ E se interrotta/ farò il mio meglio/ sulla soglia di un’altra stagione/ passerò – staffetta –/ il testimone.»
* * *
* * *
Il sogno
è identico alla vita:
mi prende tutta intera
da me nasce
è solo ciò che sono
perché non mi prescinde
e insieme
mi sfugge, mi stupisce.
Ma poi è anche il suo opposto:
non mi impedisce
di averti con i sensi
con il corpo
sapendo
(per strano sovrapporsi
di stati di coscienza)
− amore che non muori −
che sei morto.
*
Voce
voce fonda che arrivi
solo alla fine
perché neppure
con la speranza
io ti confonda
sei la distanza
impietosa dalle ossa
e dall’ultimo riflesso
mi dici: perdi tutto
hai paura? la Vita è padrona
ciò che eri è ciò
che non sei ancora
qualcosa
di incredulo ribelle
che si annulla
se nel nulla
il relitto attracca
come intero, intatto.
*
Non siamo
le parole che pensiamo
piuttosto toni
di foreste attraversate
da un unico Respiro.
Ci riconosciamo
come si appartiene chi contiene
(a distanza di materia)
un’uguale
radice di suoni, primordiale.
Vibrando permaniamo
se nell’eco
si ribella
e per gradi si rivela
indicibile l’essenza
– sostanza musicale
che sposa nella luce
la sua onda gemella.
© Fotografia di Dino Ignani