Marco Bellini – Inedito

Marco Bellini, nato nel 1964, vive in Brianza. Sue pubblicazioni sono: Semi di terra (LietoColle, 2007); per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia Le parole (2008); la plaquette E in mezzo un buio veloce (Edizioni Seregn de la memoria, 2010); Attraverso la tela (La Vita Felice, 2010); Sotto l’ultima pietra (La Vita Felice, 2013); La distanza delle orme @ – Poesie con CD Inserti (La Vita Felice, 2015); il libro d’artista Tra le spine (Edizioni Il ragazzo innocuo, 2018); La complicità del plurale (LietoColle, 2020, Premio Tra Secchia e Panaro, Premio Casentino, Premio Lago Gerundo). Ha contribuito con alcune liriche al libro curato da Anna Maria Farabbi L’arte tra bocca e cibo (Al3viE 2022). Nel 2013 è risultato vincitore con inedito nelle selezioni italiane per l’European Poetry Tournament. Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi e sono presenti in numerose antologie, su blog e riviste di settore. È stato tradotto in diverse lingue europee. Ha curato la rassegna di eventi sulla poesia in collaborazione con l’Associazione artistico culturale Artee20 di Merate (Lc). Fa parte delle giurie del Premio Letterario Nazionale Galbiate, del Premio Nazionale di Poesia Umbertide 25 Aprile e del Concorso nazionale di poesia Città di Sant’Anastasia. Ha collaborato con la rivista Qui libri, con il semestrale di letteratura Incroci e con il blog CasaMatta dove, in collaborazione con Simona Bartolena, ha curato la rubrica Le parole e la Tela. Con Paola Loreto ha curato l’antologia poetica Muri a secco (RPlibri, 2019). In collaborazione con il Comune di Imbersago (LC), cura la rassegna di eventi Poesia sul traghetto.

 

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Thingvellir

Nessuna costruzione, non la solidità di una roccia
scalfita a caratteri runici capace di tenere
vicino, non uno scranno invaso di pioggia
che dica di un’ipotesi lontana
di una testimonianza. Solo una natura rigida
a conservare a dire che il posto è quello
dove un tempo la povertà primitiva
si era fatta accogliente.
Il nome di quei prati sulle carte
una bandiera riconosce che si faceva lì
dove due continenti si guardano in cagnesco
prendono le distanze, lasciando nuova terra
alle ore di buio; lì dove la geologia
fa i suoi passi e il vento
dal cancello dell’oceano spolvera
la schiena dei morti. Lì dove sta
la cerniera aperta di un pianeta che trema.
Rimane un gesto lontano; quando la civiltà
fece un segno tra quei muschi, un angolo
riconosciuto che avrebbe guidato
mostrato una possibilità:
uomini ruvidi si fermarono, si cercarono
presero tempo per crescere vicini.
Ho chiesto la memoria dell’erica,
l’esempio dimenticato tra le rocce, l’ombra
di un’eco, di una parola riconosciuta legge.
Le porterò con me, una radice nella tasca,
schegge di basalto sotto le suole,
come un monito venuto dalla faglia
e con loro i segni perduti:
il silenzio del vapore, di una nascita lontana,
un’assemblea incerta, uno stare assieme
attorno a messaggi faticosi che imparavano
diventavano pilastri e ancora di più
oggi, per noi una pietra angolare.