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Marco Aragno, “Sonder” (PeQuod, 2023)

A cura di Franca Alaimo

“Sonder” è un termine che lo stesso autore dice di avere scelto dal dizionario francese per indicare l’atto dello scandagliare; eppure potrebbe derivare dall’inglese, assumendo un’importante sfumatura di significato: quello di una consapevolezza improvvisa che anche gli altri hanno una vita, dei pensieri, delle emozioni.


Sommandoli insieme, il lettore sarebbe già in grado, a partire dal titolo, di prefigurarsi quell’operazione, perseguita dal poeta, di immersione negli strati più profondi della propria e dell’altrui emozionalità, ma anche in quel deposito di informazioni che la storia racconta attraverso la riesumazione di testimonianze di vita dalla preistoria in poi.


Niente appare marginale per il continuo processo di conoscenza, ché spesso sono proprio “gli avvenimenti minimi/ i fatti relegati ai margini del viaggio” a rivelare assai più di quelli eclatanti. In questi versi, tratti dal testo iniziale, sembra già condensata la poetica dell’autore.

Egli tende, per esempio, ad osservare con attenzione i più piccoli trasalimenti sul volto dell’altro/a, alla ricerca di quel moto profondo dell’anima, la cui presenza, scientificamente non dimostrabile, potrebbe stare nella ‘distanza’ che separa la percezione del reale e le figure dell’immaginazione, superando “il limite delle cellule”.


È come se nel reale si celasse un altro reale insospettabile, come quando, inaspettatamente, emerge da un lavoro di scavo nel sottosuolo urbano, la colonna di un tempio dorico, testimonianza di una civiltà del passato; o dal “cuore dei ghiacciai” “il corpo/ del cacciatore del pleistocene”.


Allo stesso modo appare strutturata la memoria individuale: un accumulo di eventi depositati dal tempo, da cui riaffiorano, improvvisi, eventi, immagini, persone che più non sono, la stessa “mano lentissima di Dio/ venuta in volo da un nido di nebbia”, come direbbe Bartolo Cattafi.


In “Viaggi binari”, il testo poematico, che chiude la raccolta, durante un viaggio in treno, in cui più volte l’autore piomba in uno stato di dormiveglia, il passato (e non è un caso che esso affiori durante l’attraversamento delle gallerie, metafora del buio uterino) si mescola al presente; la figura della madre che torna a dargli la mano per sconfiggere le paure infantili si alterna con la solitudine dell’uomo adulto che medita sulla morte con affascinato tremore.

Quest’ultima, di fatto, costituisce il fulcro della meditazione poetica di Marco Aragno, che raduna sulla pagina tutte le forme del reale, accettandone la precarietà, senza rinunciare all’ipotesi di una sopravvivenza, che sia o metafisica o garantita dalle ultime scoperte della tecnologia.


La poesia di Aragno, commista di visionarietà e concretezza, di esperienza e di suggestioni emotive, è affidata ad un linguaggio plurimo, mobile, che attinge dalle scienze come dalla psicologia, dalla storia come dalla stessa letteratura, nel tentativo di un equilibrio tra paura e meraviglia, tra descrizione del reale e metafore del profondo.

Franca Alaimo

 

*        *        *


La colonna dorica riemersa
nel mezzo dei lavori di costruzione
come un errore del tempo
era forse la rovina
di un antico porto sommerso;
il marmo sollevato dalla benna
sfuggiva a ogni datazione
ma portava l’idea del mare
nel cuore del quartiere
accendeva la luce del Mediterraneo
tra gli uffici e i mercati generali


*

Ci vollero millenni di silenzio
prima che il sole penetrasse
la lapide di fango e neve
prima che il cuore dei ghiacciai
restituisse il corpo
del cacciatore del pleistocene
forse morto di freddo
forse vittima di un’infezione
oggi suo malgrado testimone
casuale racconto fossile
di un’esistenza prima della storia

 

*


Sapiens

Per effetto di un accidentale
cambiamento della voce
sapevano chiamarsi
fuori dalla grotte, partorire mondi
dal buio della bocca.
In quel villaggio
non era più il loro odore
a produrre vicinanza,
con le parole avevano il dono
di durare oltre il corpo
parlare con i morti


*

 

Nessun terremoto o alluvione
o altro evento di rilievo
che potesse spiegare alla ragione
il crollo del nostro tempo:
c’era la luce fioca di sempre
quando lo straniero venne
da un punto non indicato sulle carte
a cambiare il racconto
la stessa calma nelle case
quando annunciò il suo messaggio
spostò con pochi verbi
l’asse dell’universo


*

Una volta sorti i recettori
nella prima retina
il flusso di luce che pulsava
dal cosmo con cadenza diurna
e colpiva la pupilla vivente
si convertì in forme
tridimensionali, in deboli
ombre interne
che una mente ancora piccola
di insetto o di pesce
in stato di sogno riorganizzava
in pieghe di spazio, chiazze
fantasmi di cose