Luca Mozzachiodi, “Tempo stellare” (Bertoni 2023) – Anteprima editoriale

DA RAGAZZI SCRIVEVAMO POESIE

The stars are dead. The animals will not look.
We are left alone with our day, and the time is short, and
History to the defeated
May say Alas but cannot help nor pardon. (W. Auden)

 

Da ragazzi scrivevamo poesie,
abbiamo intrecciato versi sulle gesta antiche
con le regole apprese nelle scuole
dove le carte non segnavano mai
le gesta del nostro tempo.

Abbiamo letto anche, a volte, quelle scritte
da altri poeti per altri tempi, si dice,
più tragici dei nostri; ma i libri
li abbiamo letti con impazienza e sbagliando,
li abbiamo letti come erano scritti, per altri.

Ho sbagliato anche io a leggere da ragazzo
e quando si ruppe il fronte di Teruel sbagliai anche la mira
sparando tra gli olivi al vicino di casa.
In tanti allora non sbagliavano già più,
i figli dei padroni in discoteca, i turisti al caffè correggevano.

Anche i poeti ai caffè leggevano
alte parole che volano sotto bassi soffitti,
luci divine intorbidite nel vino della casa,
Morte e Vita e Amore e Genesi e Tramonto a due euro,
la Storia, a cinque, non si faceva pregare.

Molti anche me hanno visto andare,
ma meno erano con me al ritorno
premendo sulle suole bagnate.
Nella tasca buona del cappotto le poesie
che anche allora sbagliavamo a leggere.

Da ragazzo ho scritto anch’io le mie,
sugli dei e sugli eroi, ma ora sole
conserverei tra tutte quelle d’amore,
perché nessun dio né eroe ha salvato
quel mio amore di allora dal turno di notte.

Le poesie che abbiamo scritto da ragazzi
sono finite in un libro o in un cassetto,
le gesta del nostro tempo sorridono infine
dalle carte come un invito: asciugati le scarpe,
dovrai andare dove si è rotto il tuo fronte.

Anche di là tra i padroni stanno tanti di quelli
che da ragazzi con te hanno scritto poesie.

*

LETTERA A M.

Ti scrivo da una sera presa in prestito,
qui nella casa dove pago un affitto
e dove anche la scrivania è un resto.
Certo di noi resterà questa luce giallastra
invece che cola sui libri, e questo
mai dire basta alla notte e forse
anche tu ora mi scrivi.
Hai trovato il tuo tempo sul mare
per giocare ai pilastri della saggezza?
Ora sorseggi un té confondendo essere e stare.
L’essere che è, come una sfera perfetta,
e su quest’altra meno perfetta noi,
io e questa stanza lanciati nella corsa
che l’età matura e mi disfa
tra un prima e un poi.
Poi che per noi è sempre muti andare,
tu lo sai che hai preso la via
fuori dal paese e che ritorni solo
per l’alba che fa bere e fa morire.
L’estate intanto passa sull’Italia
tra nubi malate e arancioni
fuori dalla finestra, anche oggi
le notizie dei barconi.
Ci siamo imbrogliati amico mio,
non molti drammi registrerà l’epoca
sui libri che ci fanno compagnia,
uno soltanto invece, uno come
un fuoco nelle ossa del secolo.

Recitavamo arrivederci bandiera rossa
o piangevamo di nascosto al video,
non dire niente è il miglior modo a volte,
e abbiamo in silenzio raccolto
schegge di futuro passato in bianco e nero.
Il filo d’erba sta muto e non si mente,
non ha pensato geometrie, non ha
costruito società, composto poesie,
non ha sfidato il cielo e non sa niente,
come niente ha passato quella porta,
un raro geko sul muro è la sola
della natura confusa pietà.
Recitavo anche poesie io, in spagnolo
lustrando il fucile o degli irlandesi
che parlano di patate e di pane
di treni abbandonati su rotaie
come quelli che hai presi.
Cose vili e vane si avventano
su quelle memorie e siederemo
al banco finale della storia in fondo
a chiedere ancora se per noi di qua
solo le cicatrici contano.

Non molte io e tu forse nessuna,
il bisturi, le botte o il pallone
sul campo da gioco e non
un disperato e santo fronte di Aragona.
Parliamo di cose che non ci sono più,
intellettuali e borghesi un vento
che srotola i decenni, che smangia
i contorni alle foto e corrode
i libri e le mani che li scrissero
nel millennio li ha presi e travolti.
Ci siamo ora solo io, soltanto tu,
insieme a questi molti
che pagano affitti come il mio,
che si redimono in questa luce giallastra.
Ci siamo solo io, soltanto tu,
ma questo basta?

Quando calci i sassi delle periferie
con la poca colla delle scarpe
te lo chiedi forse e un sentore
di piscio ti dirà che non è
come nelle poesie, non sono
le sere tue e mie davanti al televisore.
La verità è una perfetta sfera,
ma puzza come le vie dei porti,
come la carne dei morti che conto stasera
e non ha buchi dentro, non ha
ombre dove si acquatta un redentore.

Diresti che avevi ragione tu,
che privilegio nostro e più mio fu
cantare la lode del melangolo e farne storia:
tra bicchieri di vino abbiamo
annegato scongiurando la memoria
quando nessuno si trovava
che a lei non brindasse.
Quest’altr’anno a Gerusalemme,
ma ora qui interrogati con pochi fogli,
appunti, magri come il filo d’erba
versi che non sanno niente,
ultimi dei senza classe.

*

Luca Mozzachiodi (1992) è dottore di ricerca ed ha svolto attività accademica all’università di Bologna, ha pubblicato numerosi saggi critici sulla letteratura italiana contemporanea e scrive per «L’Ospite ingrato», «Il Manifesto in rete», «L’Ulisse», «Ticontré», «Poesia del nostro tempo» e altre tra riviste scientifiche e blog letterari. Ha curato l’antologia Voci di oggi (Istos 2017) e pubblicato i libri di poesia Le strade di Gerico (Serra Tarantola 2013) e L’arte della sconfitta (Qudulibri 2017). Sono in preparazione per l’uscita un volume sulle riviste militanti della Nuova Sinistra e una raccolta di saggi letterari dal titolo Gli scacchi di Brecht.