John Ashbery (1927-2017) è stato uno dei maggiori poeti postmoderni di lingua inglese. Nato a Rochester, New York, dopo gli studi a Harvard e alla Columbia University è vissuto per anni in Francia. Da forme aperte ma ancora soggette a convenzioni tradizionali è approdato a espressioni oniriche e complesse, sostenute da un’ispirazione poetica che non ha mai conosciuto interruzioni. Per la sua vasta produzione poetica ha ricevuto tutti i più importanti premi letterari americani.
Damiano Abeni (1956) è nato a Brescia. Epidemiologo per formazione, traduce poesia americana da oltre quarant’anni. È la voce italiana di Lawrence Ferlinghetti, Mark Strand, John Ashbery e Charles Wright. Cittadino onorario per meriti culturali di Tucson e Baltimora, vive a Roma. John Ashbery
Autoritratto entro uno specchio convesso
Anteprima editoriale
Bompiani editore, 2019
A cura di Damiano Abeni
Dallo scritto di Harold Bloom
Una mente che può ricorrere alle proprie allegorie e costituire un ego grazie all’amore per quelle allegorie, è una mente estiva, whitmaniana e trascendentalizzante. Una tale mente è anche quella dell’Uomo Freudiano, dato che Freud definisce il narcisismo come l’auto-amore dell’ego, un amore che grazie a tale catessi arriva veramente a costituire un ego. Lo speculum o specchio convesso di Ashbery è l’esatto contrario del suo desiderio e volontà, e in questa inclinazione che lo porta a distanziarsi dai padri, lo Stevens tangibile e il Whitman spettrale, Ashbery costruisce il suo vero clinamen. Ma il costo è pesante, e Ashbery osserva giustamente che la propria “pura affermazione”, come quella del pittore, “non afferma niente”. Ovvero, per illuminare questo statement puramente ironico utilizzando la terminologia di Fletcher, Ashbery afferma soltanto la propria perpetua liminalità, quello stare sulla soglia che condivide con Hart Crane e con le più delicate, fragili sfumature dei momenti più antitetici di Whitman.
How many people came and stayed a certain time,
Uttered light or dark speech that became part of you
Like light behind windblown fog and sand,
Filtered and influenced by it, until no part
Remains that is surely you. Those voices in the dusk
Have told you all and still the tale goes on
In the form of memories deposited in irregular
Clumps of crystals. Whose curved hand controls,
Francesco, the turning seasons and the thoughts
That peel off and fly away at breathless speeds
Like the last stubborn leaves ripped
From wet branches? I see in this only the chaos
Of your round mirror which organizes everything
Around the polestar of your eyes which are empty,
Know nothing, dream but reveal nothing.
Quante persone sono venute e sono rimaste per un certo tempo
a proferire parole di luce o tenebra che sono divenute parte di te
come luce oltre nebbie e sabbie sommosse dai venti,
e da queste filtrate e influenzate, finché non resta
alcuna parte che sia con certezza te. Quelle voci al crepuscolo
ti hanno detto tutto ma ancora la favola continua
sotto forma di ricordi sedimentati in glomi
irregolari di cristallo. Di chi è la mano ricurva,
Francesco, che controlla l’alternarsi delle stagioni e i pensieri
che desquamano e volano via a mozzafiato
come le ultime foglie caparbie strappate
dai rami bagnati? Vi vedo solo il caos
del tuo specchio tondo che dispone tutto
attorno alla stella polare dei tuoi occhi che sono vuoti,
non sanno niente, sognano senza rivelare niente.