Mary Oliver è forse la ecopoeta più popolare degli Stati Uniti. Nata a Maple Heights, un sobborgo semi-rurale di Cleveland, Ohio, nel 1935, ha deciso fin da giovanissima di dedicare la sua vita alla scrittura poetica, evitando lavori impegnativi e assorbenti e conducendo un’esistenza appartata. Conosciuta la sua compagna di una vita, la fotografa Molly Malone Cook, nella casa di Edna St. Vincent Millay, di cui era ammiratrice, si è trasferita con lei a Provincetown, su Cape Cod, dove ha trascorso cinquant’anni scrivendo poesie ispirate in larga parte dalle sue vagabonderie nella Beech Forest delle Province Lands, ora parco naturale. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie, qualcuna di saggi, due manuali di scrittura poetica e un album autobiografico con fotografie di Molly. Ci ha lasciati il 17 gennaio del 2019, a Hobe Sound, Florida, dove si era trasferita dopo la morte di Molly. Ci lascia un grande patrimonio di poesia sulla natura sostanziata di un pensiero ambientalista fondato su un atteggiamento ecocentrico e postumano. American Primitive, pubblicato nel 1983, è il libro che le ha valso il Premio Pulitzer.
Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna Letteratura americana all’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato case | spogliamenti (Aragno 2016), In quota (Interlinea 2012), La memoria del corpo (Crocetti 2007), Addio al decoro (LietoColle 2006), L’acero rosso (Crocetti 2002), le plaquette Spiazzi dell’acqua e Ascesa (pulcinoelefante 2008 e 2018), e Avola (Volo) (Luciano Ragozzino, 2019), le sillogi Conoscenza della neve (Poesia, gennaio 2012) e Transiti (Almanacco dello Specchio Mondadori 2009), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. Il suo prossimo libro, Miei lari, sarà pubblicato da Marcos y Marcos nel 2024. Come studiosa è autrice di tre libri sulla poesia di Emily Dickinson, di Robert Frost e di Derek Walcott e di numerosi articoli sulle letterature americana, canadese e caraibica. Traduce i poeti americani e collabora a varie riviste di studi americani italiane e straniere. La sua ricerca si incentra sulla poesia americana, la ecopoetry (e l’ecocritica), la world literature e la traduzione poetica.
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Avvoltoi
Come grandi farfalle
scure
e pigre, sorvolano
le radure cercando
la morte
per mangiarla
per farla scomparire
per farne il miracolo:
la resurrezione. Nessuno
sa quanti siano a officiare
in questo modo, quotidianamente,
per miglia d’erba, nessuno
conta quanti corpi
scoprono
e raggiungono, testimoniando
ogni volta l’appetito
della terra, le infinite
cascate della metamorfosi.
Nessuno,
inoltre,
vuole meditare
su come sarà
sentire il sangue raffreddarsi,
le forme dissolversi.
Avvolti
nella fiamma dei nostri corpi
li osserviamo
ruotare e andare con la corrente, li
onoriamo e li
odiamo,
per quanto saggia sia la dottrina,
per quanto magnifici siano i cicli,
per quanto alla fine dolce
sia l’ammasso di morte che alimenta
quelle ali potenti.
Vultures
Like large dark
lazy
butterflies they sweep over
the glades looking
for death,
to eat it,
to make it vanish,
to make of it the miracle:
resurrection. No one
knows how many
they are who daily
minister so to the grassy
miles, no one
counts how many bodies
they discover
and descend to, demonstrating
each time the earth’s
appetite, the unending
waterfalls of change.
No one,
moreover,
wants to ponder it,
how it will be
to feel the blood cool,
shapeliness dissolve.
Locked into
the blaze of our own bodies
we watch them
wheeling and drifting, we
honor them and we
loathe them,
however wise the doctrine,
however magnificent the cycles,
however ultimately sweet
the huddle of death to fuel
those powerful wings.
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Cavolo di palude1
E adesso, quando la crosta di ferro
sugli stagni comincia a sciogliersi,
ti imbatti, sognando felci e fiori
e il dispiegamento delle foglie nuove,
nel cavolo di palude,
vistoso, dal cuore di rapa,
che butta mazzi di foglie in alto
attraverso il fango freddo.
Ti inginocchi a fianco. L’odore
è orrendo e si effonde nel modo
più sfacciato, attraendo
dentro di sé spruzzi continui
di proteine. Schifosi
le sue cavità verdi e il pensiero
della spessa radice annidata al di sotto, tenace
e potente come l’istinto!
Ma questi sono i boschi che ami,
dove il nome segreto
di ogni morte è una nuova vita – un miracolo
certo operato non da una semplice trasformazione
ma da una rimessa in scena densa, bruciante. Non
tenerezza, non anelito, ma audacia e forza bruta
fan crollare la cascata di ghiaccio, il passato.
Felci, foglie, fiori, le ultime sottili
rifiniture, eleganti e pazienti, attendono
di sollevarsi e prosperare.
Quello che infiamma il sentiero non è per forza grazioso.
Skunk Cabbage
And now as the iron rinds over
the ponds start dissolving,
you come, dreaming of ferns and flowers
and new leaves unfolding,
upon the brash
turnip-hearted skunk cabbage
slinging its bunched leaves up
through the chilly mud.
You kneel beside it. The smell
is lurid and flows out in the most
unabashed way, attracting
into itself a continual spattering
of protein. Appalling its rough
green caves, and the thought
of the thick root nested below, stubborn
and powerful as instinct!
But these are the woods you love,
where the secret name
of every death is life again – a miracle
wrought surely not of mere turning
but of dense and scalding reenactment. Not
tenderness, not longing, but daring and brawn
pull down the frozen waterfall, the past.
Ferns, leaves, flowers, the last subtle
refinements, elegant and easeful, wait
to rise and flourish.
What blazes the trail is not necessarily pretty.
*
Fioritura
A aprile
i laghi
si aprono
come fiori neri,
la luna
nuota in ognuno;
c’è fuoco
ovunque: rane che gridano
il loro desiderio,
il loro appagamento. Ciò
che sappiamo: che il tempo
ci fa tutti a pezzi come una zappa
di ferro, che la morte
è uno stato di paralisi. Ciò
a cui aneliamo: la gioia
prima della morte, notti
nella palude – tutto il resto
può aspettare ma non
questa spinta
dalla radice
del corpo. Ciò
che sappiamo: siamo di più
del sangue – siamo di più
della nostra fame eppure
apparteniamo
alla luna e quando i laghi
si aprono, quando l’incendio
inizia il più
ponderato tra noi sogna
di correre giù
dentro i petali neri
dentro il fuoco,
dentro la notte in cui il tempo giace a pezzi,
dentro il corpo di un altro.
Blossom
In April
the ponds
open
like black blossoms,
the moon
swims in every one;
there’s fire
everywhere: frogs shouting
their desire,
their satisfaction. What
we know: that time
chops at us all like an iron
hoe, that death
is a state of paralysis. What
we long for: joy
before death, nights
in the swale – everything else
can wait but not
this thrust
from the root
of the body. What
we know: we are more
than blood – we are more
than our hunger and yet
we belong
to the moon and when the ponds
open, when the burning
begins the most
thoughtful among us dreams
of hurrying down
into the black petals
into the fire,
into the night where time lies shattered,
into the body of another.
1 Lo skunk cabbage, noto anche con altri nomi, come eastern skunk cabbage, o swamp cabbage, è il Symplocarpus foetidus, o “cavolo di palude”. È una pianta bassa che cresce in terreni paludosi o collinari umidi, diffusa nel Nord America dell’est. Il nome deriva dall’odore repellente che emana, che ricorda quello della puzzola.
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Dall’Introduzione di Paola Loreto
Primitivo americano è un libro dionisiaco, dell’abbandono all’eccesso della fame, della gola e del desiderio; ed è un libro dell’esultanza per l’immersione nella proliferazione disordinata e incontrollabile della natura, di cui la poeta si appropria a piene mani in un gesto liberatorio e sempre legittimo. Le poesie celebrano sensazioni fisiche primordiali come la percezione del pericolo del freddo estremo o dell’appagamento assoluto nel nutrirsi di altra materia naturale che è al tempo stesso diversa e uguale a sé, come il miele o la carne di un pesce che si è ucciso. Oliver mette in scena sia la metamorfosi del non-umano in umano – quando, folgorata dalla meraviglia, descrive una cerva che partorisce come una donna bellissima – sia dell’umano nel non-umano, quando descrive se stessa come un orso che rapina un favo di miele o se ne riempie la bocca con una grossa zampa. Coinvolge il lettore nella condivisione di aree indistinte di esperienza dell’umano e del non-umano su terreni di coabitazione come quello della palude, dove la tentazione di cedere all’istinto di fusione con la materia, con il suo farsi e disfarsi inarrestabili, il suo perenne divenire informe e multiforme, sfociano in una condizione pre-identitaria in cui l’origine e la destinazione di ogni cosa creata si incontrano.
© 1978, 1979, 1980, 1981, 1982, 1983
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