Giammarco Di Biase, “Solo le bestie” (Marco Saya, 2025) – Anteprima Editoriale

 

Giammarco di Biase (Foggia, 1993) è giornalista e operatore culturale. Scrive di letteratura su vari magazine e collabora con il Corriere del Mezzogiorno e Poetarum Silva. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste come Avamposto e Atelier. Ha esordito nel 2023 con la raccolta S’aggrinza un astro (Ensemble).

 

 

 

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Le sclere salvate, l’acqua nella bestia
che cammina sfatta. Ho un diamante
nei denti e mi parla. Si vede
dalla schiena, ha uno specchio pieno
di calce. Sembra nel riflesso
anche un muro, di quei manigoldi
il paradiso. Se ognuno di loro fa il randagio
appare un’ala mentre io cerco l’agnello
che tenga santo il mio morso.

 

 

 

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Le donne amano il tuo sguardo da tomba
quando si apre al mattino il prelievo
del vampiro sulla fronte, adesso che sei
sveglio grazie a uno strale e prepari
la lavanda per i piedi. Ti vengono
a cercare nel letto questi dioscuri, mentre
lei ti abbraccia e tu pensi alla segatura dei baci
alle iridi di traverso, segnate dalla croce
e dal rebus del dolore: il dolore, lontano laggiù
nello stantuffo di mondi.

 

 

 

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Sono dentro la giostra. Virginia
cerca i cieli che ha perso dentro
un mal di testa. Non ci resta che pensare
a dove cadiamo, se il vetro è una serpe.
Senz’altro qui è sognare come entrando
in un ospedale: cosa vuol dire se le case
vuote, se questo male qualunque si innamora?
Nei corridoi stringi le mani al petto, verso una
costante d’azzurro che sbatte sulla fetale
embolia, sul punto di vivere. Credi di sentirti
uomo quando un suicidio ti guarda.

 

 

 

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Nelle due sezioni (anticipate da un evocativo testo proemiale) che compongono questo libro, seconda prova poetica di Giammarco di Biase, la figura centrale è il padre mancato prematuramente che per l’autore è motivo di forza e al contempo smarrimento. Si assiste così a una deflagrazione continua di frammenti emotivi, di prose strappate che nel ritmo della poesia avvicendano il dolore, come anche l’impulso mortale, con il feroce entusiasmo che solo a trent’anni fa sentire lo sciame del vento come cellula protettiva sul futuro cadavere che è già nella testa. Di Biase pare avvertire tutto questo e con fare sciamanico, ma anche urbano, mostra al lettore le tempie di una promessa, ovvero il non cedere alle lusinghe della fine per provare a essere egli stesso il proprio padre, bestia bifronte che si rigenera continuamente nella nascita della poesia. Poesia, questa, sclerotica che si auto-fagocita ad ogni enjambement senza però mai smarrirsi, cercando anzi nella propria nevrosi una forza che schiacci il pensiero attraverso un costrutto prosodico vorticoso. Si passa così dalle poesie elettriche della prima sezione a quelle più piane della seconda, verso un crescendo emotivo e stilistico che regala liriche sempre più audaci e profonde.

Antonio Bux

 

 

 

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