Francesca Saladino, “I rami, i morti, i canti” (Samuele editore, 2023)

Poesia delle piccole cose, la realtà proposta dai versi della Saladino si innesta sulla linea dello sguardo onesto del poeta che vive e sente l’esistenza in rapporto con una natura a tratti selvaggia e distante, a tratti comprensiva e amica. Le immagini, pulite e prive di orpelli retorici, si affastellano nel discorso lirico costruendo una impalcatura sentimentale in cui il lettore si culla anche quando il dolore sembra l’assoluto protagonista di un sentire ineluttabile. Non c’è mistero dietro ciò che si vede, non esiste una metafisica celata, una risposta da svelare: l’occhio guarda e descrive, la morte arriva mentre si “mangia un gelato”, l’uomo è un animale sociale che nel dialogo metaforico costante con la fauna urbana ed extraurbana (piccioli, insetti, cani randagi, vacche) svela se stesso, si conosce negli aspetti più istintivi e violenti, nelle passioni più coinvolgenti, sfuggenti alla razionalità dietro cui si nasconde l’essere umano.

Dalla prefazione di Eleonora Rimolo

 

*        *        *

 

 

*        *        *

 

1.

 

Ci sono stanze
di silenzi chiusi a chiave
in cui dimorano spazi
grandi quasi due secoli,
e sono immensi e nascosti
dalle madri e dai padri,
ci sono stanze piene
di quadri dell’inquietudine
nelle cucine familiari
dietro porte di notizie
imposte alle persiane,
accanto all’immondizia
e a me che siedo ferma,
zitta, legnosa come sedia
vicino al fuoco – un fuoco che spaventa,
che brucia, un fuoco che non cuoce –
l’ozio del dente distante dalla lingua,
fisso un soffitto rotto dal nulla
incapace d’urlare tutto a bocca aperta,
mentre la rabbia degli altri
non mi dà pace,
schiude rosa dai miei rami
e si posa a centro tavola, cotta
come terra; un vaso
nelle bocche a forma di forno,
sigillate da millenni e colme
di ceneri e denti neri
di bambini caduti dagli alberi genealogici,
un piede nel vuoto sbattendo il naso,
i polsi teneri, il collo e nei campi analogici
di roghi estivi caldissimi
riecheggia soltanto l’urlo, non il gioco,
non ciò che è stato.

 

*

 

2.

 

Puntualmente in anticipo
torno a bussare alla mia porta,
questa notte in un vico
già risorta e non m’importa
di redimere uomo alcuno.
C’è una luce sul davanzale
in attesa da più di tre giorni
ch’io ritorni al cielo e sieda
al posto del padre.
Il padre è assente.
Il padre è morto.
L’ho ucciso io
perché nulla m’ha dato
e nulla m’ha tolto,
il torto dell’imbroglio:
“privata del fallo,
illusa da un figlio”,
ne chiedo l’aborto.
Lutto fittizio del membro
tra le cosce, non nasce.
Ne chiedo l’aborto.
Noi sediamo al posto del padre,
poiché coniughiamo il verbo
essere, non fare.

 

*

 

3.

 

Ho sognato la tua risata in cucina
questa mattina in dormiveglia,
la neve cadeva sulle arance
e si scioglieva ancora prima di toccarle.
Così tu rimanevi nel mio letto
come neve sull’arancio.

 

*        *        *

 

Francesca Saladino nasce e vive a Caserta dal 1994, laureata in psicologia clinica presso l’Università Degli Studi Della Campania Luigi Vanvitell; porta avanti un progetto di poesia estemporanea collezionando ritratti di parole per persone di carta, componimenti basati sul colloquio avuto col soggetto dello specifico ritratto, unendo così l’interesse per la psicologia umana con l’espressione poetica. Campionessa regionale di poetry slam per Slam Italia negli anni 2016 e 2017, è stata co-fondatrice del collettivo campano CASPAR per la diffusione e la valorizzazione della poesia orale e poetry slam sul territorio. Tra il 2018 e il 2019 ha ideato e organizzato “Pop Poetry” per le promozione delle arti poetiche e performative miste, una rassegna teatrale di spettacoli in versi, videopoesia, impropoesia e spoken poetry presso “Officina Teatro”, terminata col festival conclusivo dal medesimo nome presso la sala concerto SMAV di Santa Maria A Vico. Recentemente ha pubblicato la sua prima silloge poetica “I rami, i morti, i canti (Samuele Editore 2023, collana Callisto)” e porta avanti un progetto cantautorale synth pop dal nome SANTAMARIA.