Danila Di Croce – Inediti

Danila Di Croce vive ad Atessa (CH) ed è docente di Lettere. La sua più recente raccolta poetica, Ciò che vedo è la luce (peQuod 2023), è risultata vincitrice al Premio InediTO – Colline di Torino 2022. Nel 2023 si è classificata prima con testi inediti nei seguenti premi letterari: Lago Gerundo, Daniela Cairoli, Chiaramonte Gulfi – Premio Sygla, Arturo Giovannitti, Città di Acqui Terme (anche con il premio della Stampa) e Città di Sant’Anastasia. È stata premiata o è risultata finalista ai concorsi Gozzano, Europa in Versi, Bo-Descalzo, Città di Como, Ossi di Seppia, Arcipelago itaca, Gianmario Lucini, Sinestetica, Rodolfo Valentino, Poeti Oggi. Suoi testi figurano nel Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (AA. VV., Arcipelago itaca, 2023) e su alcuni blog e antologie legate a premi letterari. Ha pubblicato il suo primo libro di poesia, Punto coronato (ed. Carabba), nel 2011 e prossimamente uscirà per la casa editrice puntoacapo l’opera vincitrice del Premio Lago Gerundo 2023 per la poesia inedita. È membro di Giuria in alcuni concorsi.

 

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Dev’esserci una capienza abissale
– uno slargo che ripaga del tempo
e dell’affanno prestato alle sere –
per dire infine con dolcezza

ora posso anche morire.

E dirlo proprio in punta
di piedi, quasi fossimo protési,
con l’estro del poeta che s’affaccia
e affida al suo passato un nome
nuovo, così, come per salutare.

 

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Se tutto poi dovesse celebrarsi
in silenzio tra di noi, farsi muta
accensione dello sguardo che svela,

questo sarebbe un tratturo, una via
erbosa di parole troppo alte
per passare, così, in transumanza
di voce che bela scomposta al vento.

 

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Davvero c’è da sciogliere e chissà
se tutto poi ritornerebbe vergine
il nostro dialogo e con lui il pianto
onesto della comprensione – il cielo
di nuovo acceso da una fiaccolata
di voci.
Indovinare in ogni nodo
un cedimento delle maglie, forse
lo sfiato per le risa, una caparra
che già significa liberazione.

 

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Che faccia ha questa parentesi accessoria
tra il mio e il tuo parlare,
questo vicolo distratto dalla strada
principale che chissà dove allontana.

Perché c’è sempre un altro verso
da rifare e mai ci basta la dizione
esatta delle cose, il solo nome.

Preme una cadenza più sincera
per sostare sopra i fossi e le radure,
per dirigere il cammino tra le pietre
che trattengono le nostre voci.

 

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Non sa andare lontano da te questa
impostura che proprio qui s’appunta,
sulla lingua, e – come se avesse voce –
tenace insiste nel chiamarti ancora.

Di che menzogna vuole nominare
quello che invece è solo un canto
troppo smisurato per questa cruna.