Estratto da Crediting Italian Poets? di Guido Mattia Gallerani – Rubrica “Dibattito”, pp. 10-12.
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Da Atelier 74 (giugno 2014)
Da Atelier 74 (giugno 2014).
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“Poesia”, “Italia” e “Contemporaneità” sono tre sostantivi che pongono problemi di definizione quando appaiono da soli: figuriamoci quando si compongono insieme. La cifra dominante della missione di Atelier fin nelle sue fasi iniziali è stata la libertà come valore culturale, la forza della poesia come strumento di appropriazione emotiva e intellettuale rispetto al mondo, e l’apertura alla formazione e alla partecipazione delle persone, con particolare riguardo alla realtà dei più giovani. Considerato il contesto attuale, mi sembra che la declinazione di questi principi passi per il tentativo pressoché rivoluzionario di liberare la poesia, o almeno il testo e il libro, dall’egemonia dell’impianto sociologico che regola il sistema poesia in Italia. L’impronta sociologica di questo primo numero della nuova direzione è, pertanto, il centro raggiunto da cui operare il prossimo ribaltamento, per un ritorno alla critica della poesia italiana contemporanea.
In particolare, credo si giusto esporre due problemi (e una soluzione umanistica in “comune”) su cui vorrei concentrare l’operato di questo nuovo corso. Non spetta a me lo sguardo sul passato, ma tracciare quello sul futuro è sfida da cui non possiamo indietreggiare come collettivo di persone dotate di responsabilità nei confronti della letteratura.
1. La mancanza di una vera cultura nazional-popolare continua a far sentire il suo principale effetto anche nella poesia italiana contemporanea. Questo effetto è che l’unica poesia che si fa parvenza di leggere sia quella straniera. Non significa che da noi si legga poesia straniera, poiché nemmeno la poesia straniera ha lettori (aldilà della riproposizione di paragoni fuorvianti con altre realtà socio-economiche), ma che la proposta di poesia straniera entra nella nostra socio-poesia come quel compromesso psicologico che dovrebbe farci sentire meno provinciali. Ma noi siamo una nazione provinciale e tale è oggi la nostra cultura; la strada per uscirne non è quella dell’inseguimento di ciò che non ci appartiene. Non buttiamo via ciò che di buono appartiene alla nostra tradizione. Noi possiamo rivendicare un ruolo di primo piano in Europa e nel mondo per la nostra poesia e attra-verso la poesia stessa: questa possibilità ci viene garantita dalla nostra stessa storia. La sudditanza della cultura italiana a modelli culturali estranei non credo sia stato un processo di differenziazione interna per mezzo di altre culture (che sarebbe un bene), ma semplicemente il frutto di un’egemonia astratta, di un sistema globale che condiviso ed omogeneo non è se non per chi ha quei mezzi e capitali tali da imporsi sugli altri in maniera unilaterale. Stesso discorso varrebbe per l’idea di una poesia più pop poiché messa in rete: i social sono strumenti di socialità, non di critica né di produzione poetica. Sono stati programmati per la divulgazione delle idee e dei contenuti (tra cui la poesia), ma non servono alla critica o alla creazione. In tal senso l’aggiornamento delle capacità comunicative di una rivista passa necessariamente per il reclutamento di forze nuove ed aggiornate, sia in senso tecnico che multi-culturale, come dimostra il rinnovamento redazionale già compiuto da questa direzione.
2. La difesa dell’ingenuità come unica chiave di lettura della poesia non è solo dilettantistica, ma anche autoritaria. L’anti-intellettualismo è la prima manifestazione storico-culturale dei totalitarismi. Oltretutto, i poeti anti-accademici appaiono i più accademici per come parlano di pubblicazioni, conferenze, deadline di uscite editoriali… Dico questo per riconoscere che esiste un problema sostanzia-le di rapporto tra poesia e università. Non è un bene. Non si creda che la poesia possa fare a meno dell’università. La narrativa può farlo: produce un capitale eco-nomico cui l’università stessa è debitrice. Nel settore umanistico-letterario, la poesia conferisce non altro che prestigio al poeta perché lo illude di trasformare la sua individualità in eternità dentro l’opera – detto idealisticamente – e la propria borghese diurna operosità in aristocrazia artistica – se vogliamo essere più materialisti. Anche il poeta postmoderno o contemporaneo è destinato, forse un giorno, a eternizzarsi nel canone di un’antologia scolastica. Certo, le future determinazioni di tal canone corrispondono a una dietrologia poetica ancora a venire, ma credo sia innegabile che esista un capitale simbolico per la poesia già nel pre-sente della nostra attività sociale: i premi letterari o le organizzazioni d’eventi elevano già al rango di poeti potenzialmente mainstream coloro che a queste attribuzioni simboliche sono connessi. Tuttavia, questo tipo di valorizzazione innanzitutto sociale non coincide totalmente con una valorizzazione critica. Proprio per sopravvivere come poesia, la poesia ha necessità, nel campo letterario odierno, di critici in grado di conferirle valore anche letterario. Ha bisogno di dialogare con l’università per guadagnare credito come oggetto di discorso intellettuale, e non solo micro-mediatico. Ha bisogno di estendersi oltre la sagra del suo provincialismo per ritrovare quei poeti e critici fratelli dell’italiano, emigrati all’estero e che sono in grado di aiutarci nel nostro bisogno di maggior dialogo verso l’esterno. Per questo motivo, anche attraverso una nuova rete di collaborazione, abbiamo deciso di aumentare le nostre risorse potenziali di critica, valendoci di ricercatori del settore letterario (e non solo) dall’Italia e dall’estero.
3. La poesia è fatta dai poeti: non si può prescindere dagli altri, dal nostro stesso pubblico, dacché non esiste un pubblico di lettori di poesia se non quello composto da una stretta minoranza interna al grande gruppo dei poeti italiani. In massa potremmo quasi apparire come un partito di poeti, ma in verità siamo il vero partito dell’astensione dalla poesia. “Dare credito alla poesia” dirà vent’anni dopo Montale un altro poeta Nobel, Séamus Heaney. Una rivista letteraria deve dar credito, oggi, ai poeti italiani? L’unica cosa certa è che la risposta a questa domanda passa per un’immensa dote di credito data ai lettori della poesia.
____________________________(Guido Mattia Gallerani)
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