© Fotografia di Dino Ignani

Annamaria Ferramosca, “Per segni accesi” (Ladolfi Edizioni, 2021)

A cura di Sandro Angelucci

LA CICLICA PROMESSA DELLE ORIGINI

 

Mi sono imbattuto nella poesia di Annamaria Ferramosca leggendo i contenuti della sua raccolta: Per segni accesi.

Silloge che – già dai primi testi – ha calamitato la mia attenzione per la sua propensione o, meglio, vocazione a partire dagli inizi per raccontare e raccontarsi.

In effetti, i versi incipitari descrivono il parto, la nascita stessa della luce, che placa “i vortici della notte” e permette l’approdo dell’arca, ma “dev’essere pace intorno per il primo grido” oppure un lieve mormorio delle foglie a dare forza al germoglio, al suo misterioso rispondere all’appello del cielo, all’invito del giorno. È “il dolce rumore della vita” di Sandro Penna, che Annamaria fa suo; ed avverte, ed attende “come l’ibis / immobile nel fiume”.

È all’alba che una lingua universale preannuncia “la grande migrazione” e intima: “ora o mai più / è ora di prossimità / insieme aprire la via nel bosco / luminosa assoluta / seguirne i segni chiari sui tronchi / fino al limite dei rami / riconoscere la distanza di rispetto / tra pianta e pianta nido e nido / la discrezione dell’ombra e del chiarore”.

Non si tratta, tuttavia, di un ritorno statico e nostalgico bensì di un risalire il fiume fino alla sorgente e, forse, più oltre ancora. In un certo senso, la dinamicità consiste, per lei, nella possibilità del recupero di un’eternità che, però, esige il superamento, obbligato ed ineludibile, del varco della morte.

I versi che seguono – e mi piace riportare – allorché viene chiesto al suo dio (che non passi inosservato l’uso dell’aggettivo possessivo) di renderle attuabile il ritorno “al punto di partenza / il mai sazio sapore della fine / quando ci ritroviamo naufraghi / sulla feritaluce dell’origine” ne danno ampia dimostrazione.

Si riconquista l’origine soltanto se si è affamati, soltanto se il sapore della fine non ci spaventa; al contrario, ci aiuta a vivere il naufragio tra le onde di un mare sconosciuto mentre i bambini giocano al poeta.

La crisi, dunque, è nello stallo: sono quelli i momenti in cui ci sentiamo perduti, estranei al fluire del tempo, presi nel vortice di ore artificiali che ci fanno credere che siano gli uccelli a muoversi nell’aria, mentre è il falco nel suo altissimo cerchio che sta muovendo il cielo.

“Un cielo come lo vedono erbe ed alberi / cielo verde-verdad che dice / del nostro uguale alfabeto di sole e d’acqua / del risorgere ciclico e gioioso / ché siamo tutti – fogliepietreanimali – / fatti della stessa sostanza luminosa / promessa inesauribile di un’alba”.

Ecco quindi chiarito il motivo per cui non le basta tornare alle origini: è la pre-nascita, è di questo che va alla ricerca la Ferramosca, consapevole del fatto che solo dopo la fine potrà saperlo. Non può esserci principio se non c’è stato un termine, e viceversa. Consiste in questo infinito alternarsi il risorgere ciclico e gioioso, del quale scrive e nel quale crede.

“[…] torneranno a scorrere i fiumi amorosi / sulle anse a sorgere le città tremanti / e noi nudi d’errore / ritornati bambini a scuola / con visi leonardeschi / la penna in mano a imparare / a riscrivere vita / dai diluvi proteggerla / come nella favola dell’arca / come nella promessa”.

Palingenesi? Si, è necessaria, è improrogabile se si vuole proteggere la favola-verità dell’arca ed eleggerla a rivelazione.

È il superfluo che nuoce, che non ci fa spogliare, che ci costringe a formulare dati norme statistiche facendoci ritenere che in essi risieda la password, che quella è la chiave che apre il passaggio segreto per abitare il mondo. Ma la Terra non può decifrarla, non conosce codici, lingue diverse da quelle più semplici, con le quali comunicano e le parlano le sostanze più elementari, dalle quali lei stessa è formata.

Noi – gli uomini – ci siamo voluti affrancare dalla legge universale, abbiamo sempre pensato che la stessa fosse perfettibile, senza renderci conto che fallace ed illusorio era il nostro proponimento. Non abbiamo capito che la compiutezza non andava cercata; era lì, nel caos originario e nella sua mutevolezza.

“ […] eppure è così che prende forma la terra / emerge – fuoco d’artificio – / da tutta la cieca materia dei detriti / muri crollati tendini recisi e / dalle foreste perdute   tronchi ossa piume / tutto farà humus / per il grano che germoglia per il pane […]”.

Qui la poetessa sembra voler dire che la legge naturale consista proprio in questo cambiare; una trasformazione, però, che non porta distruzione o, meglio, la porta perché tutto faccia humus quando, di nuovo qualcuno “premerà cancella”.

Non ci è dato sapere chi sia questo (volutamente) non ben precisato qualcuno; né sappiamo come, quando e perché deciderà di farlo. E non sarà la prima né l’ultima volta che avverrà. Di una cosa soltanto, tuttavia, possiamo avere certezza, anche oggi: qualunque cosa accada – nel bene o nel male – (sono distinzioni che ci aiutano a vivere, pur esistendo sia l’uno che l’altro, ci mancherebbe) sarà per fare humus, sarà per il pane futuro.

L’antica saggezza orientale lo sosteneva in ogni situazione: ti capita una sventura? Chi ti dice che sia un male? Allo stesso modo se si considera necessariamente un bene il verificarsi di un evento favorevole.

Sono concetti distanti dalla nostra cultura, ciononostante se ne dovrebbe tener conto a prescindere dal credo religioso, se davvero si desidera avere fede nella vita e nella sua infinitudine.

Ho a lungo disquisito su Per segni accesi ma Annamaria mi ha fatto conoscere altri suoi lavori precedenti, nei quali ho riscontrato i prodromi di una poetica ben delineata ed in progress.

In Andare per salti, del 2017, ad esempio, oltre all’attenzione riservata all’innocenza della fanciullezza – così ben rappresentata dalla bellissima strofa che segue: “[…] mi tieni strette le mani / bambina degli oceani / mentre insieme affondiamo / io cerco i miei antichi relitti tu / segui alghe di luce / rondini di un cielo vivo / tu già risali   ti salvi.” – cominciano a farsi vive per tumulti (non a caso intestazione della seconda sezione dell’opera) quelle riflessioni che sono il nucleo della sua Weltanschauung.

Esemplificativi, al riguardo, i versi di taràn, ma anche quelli di sembra che cadano dall’alto le parole e di etilità, dove la ripetizione di “datemi vino sì” (ipnotico, nepente, a bombe, lacrima ma doc) si contrappone alla contraffazione dell’homo insipiens, inquinans, multimediaticus, illusus ed ipercomunicans.

E si arriva all’inversione sull’appia antica (Per spazi inaccessibili), dove non sono i suoi passi a posarsi sul basalto ma è l’antica via ad attraversarla dai talloni fino alla fronte, allo stesso modo in cui sarebbe poi stato l’altissimo cerchio del falco a muovere il cielo.

Si potrebbe dire di più, ma troppo mi attrae il concludere con una glossa di carattere linguistico: “con la lingua vorrei solo esultare / soffrire delle cose sulle cose far luce / anche feroce – sventagliando laser – / o velarle le cose di compassione / coprirle scoprirle interrogarle / romperle corromperle / ammalarle infettandomi guarire / restandomi nella voce – irrimediabili – / i segni del contagio e della cura” (da Ciclica, 2014).

Sandro Angelucci

 

*        *        *

 

 

 

*        *        *

                                                    

pianeta d’aria e luce e fango
dalla notte arcaica risvegliate
memorie d’oceano alghe azzurre
e sulla terra l’alba degli incontri
brusio di passi
scavano i fianchi ai monti
una rete di valichi e sentieri
come una profezia

piega verso settentrione il cammino
un capriccio obliquo della luce
segue la pelle bruna   la scolora
azzurrisce occhi   fa chiari i capelli
larga piove bellezza sulla terra
e ci fa ibridi lungo i meridiani

ibridi siamo e solo per amore
ibridi camminiamo accanto per millenni
lasciando a terra ibridi uccisi
ibridi schiavi ibridi annientati
il senso è oscuro o uno scuro
disegno governa
tutte le cadute le polveri
i lumi le ricostruzioni
(finché il sole irradia si ripetono
incontro disincontro
i segni sulla sabbia   indecifrabili)

 

*

 

fare tabula rasa dei pensieri
affidarsi al buio
con la sicurezza dei ciechi

sostare ad ogni angolo della notte
afferrare i lumi al baluginare dell’alba
sulla bocca delle sorgenti
nel luccichio delle nascite

verrà l’oceano
verranno le sue vele
saremo nuovi per nuovi continenti

 

*

 

quando le previsioni raggiungono
la massa critica
il quadro intero deflagra
si può agire ormai
solo per mani   stringendone infinite

sgomenti emergere dal fango
salvando i pochi semi superstiti
risalire i fianchi del vulcano
raccogliere lava lapilli
versare sul tavolo l’agglomerato
farne un totem fermacarte a fermare
tutto il caos che piove dalla fronte
il tremore sgomento dei neuroni

lo spin ha invertito il suo giro
matte spirali innescate
ribaltate gravità e latitudini
contratti i fili che fanno verticale la postura
così che siamo rovinati fino a terra
e sulle caviglie – erano alate –
sta colando resina vischiosa

prima che faccia notte
prima che la bambina impari a sillabare
dobbiamo
ricomporre l’asse spezzato
liberare il volo aprire
nuove misure all’orizzonte

 

*        *        *

 

Annamaria Ferramosca è biologa e autrice e divulgatrice di poesia. Ha pubblicato:  Luoghi Sospesi (Puntoacapo 2023, nota di Elio Grasso), Per segni accesi (Ladolfi 2021, introd.ne di M.Grazia Calandrone), Andare per salti (Arcipelago Itaca 2017), Trittici-Il segno e la parola (DotcomPress 2016), Ciclica ( La Vita Felice 2014, pref.ne di Manuel Cohen), Other Signs, Other Circles – Selected Poems 1990-2009 (Chelsea Editions 2009, trad.ne di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti), Curve di livello (Marsilio 2006, Paso Doble (Empiria 2006, coautrice A. Crowe Serrano),  La Poesia Anima Mundi (Puntoacapo 2011), Porte/Doors (Edizioni del Leone 2002, pref.ne di Paolo Ruffilli), Il versante vero (Fermenti 1999, introd.ne di Plinio Perilli). E’ presente nelle antologie: Aria di casa, a cura di Donato Valli (Congedo 2005), Blanc de ta nuque I e II vol.(Le Voci della Luna 2011 e 2016), Poeti e Poetiche, a cura di Gianmario Lucini (CFR 2012), Il fiore della Poesia Italiana – I Contemporanei (Puntoacapo 2016), Fuochi Complici, a cura di Marco Ercolani (Il Leggio 2019), Anni di Poesia 1985-2019, a cura di Elio Grasso (Puntoacapo 2020), Sud I Poeti vol.13, monografico, a cura di Bonifacio Vincenzi (Macabor 2022). Ha al suo attivo collaborazioni e contributi creativi e critici con vari siti e riviste nazionali e internazionali di poesia. È stata ideatrice e per molti anni curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2 punto0, da cui ha diffuso poesia di autori noti da tutto il mondo. Ambasciatrice di Poetry Sound Library (mappa sonora mondiale delle voci poetiche nel web) per Italia e Puglia, è  curatrice di progetti sinestetici di  poesia con musica, danza, pittura. Più volte finalista e selezionata in premi per la poesia edita (Camaiore, Pagliarani, Pascoli, LericiPea, Montano, Europa in Versi, è vincitrice dei premi Guido Gozzano, Renato Giorgi, Astrolabio, Voci Città di Roma. Nel 2022 le viene assegnato il Premio alla Carriera “Paesaggio Interiore”. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, spagnolo, greco, turco e arabo per riviste straniere e sono di recente pubblicazione il volume di poesie:Volver a escribir la vida per Abisinia Editorial, BuenosAires,2023 (trad.ne di Antonio Nazzaro) e la plaquette Va veni Oceanul per Editura Cosmopoli 2023 (trad.ne in romeno di Eliza Macadan). Website: www.annamariaferramosca.it

 

© Fotografia di Dino Ignani