© Fotografia di Dino Ignani

Alberto Bertoni – Inediti

Alberto Bertoni è nato a Modena nel 1955 e insegna Letteratura italiana contemporanea e Poesia del Novecento nell’Università di Bologna. In poesia, dopo una serie di opuscoli, libretti, plaquettes inaugurata nel 1981, ha esordito con il volume Lettere stagionali (Book Editore, 1996, con una nota di Giovanni Giudici), a inaugurare una sequenza di otto libri, composta nei suoi ultimi esiti da Traversate (SEF 2014, prefazione di Paolo Valesio), dalla silloge Poesie 1980-2014, Nino Aragno Editore 2018, dal libro in dialetto modenese Zàndri, Book Editore 2018, dalle traduzioni di Irlandesi, Corsiero Editore 2020, dall’Isola dei topi, Einaudi 2021 Premio Carducci 2021 e Premio Pontedilegno 2022 e dall’”Autobestiario” Culo di tua mamma, Collana Giallo oro di Pordenonelegge, Samuele Editore 2022. Per riscontro critico e diffusione, spiccano tra loro le tre edizioni di Ricordi di Alzheimer (2008, 2012, 2016), pubblicate da Book Editore e accompagnate da una poesia in versi pavanesi di Francesco Guccini oltre che da una nota critica di Milo De Angelis.

 

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Un semaforo a Tokyo

In memoria di Hans Magnus Enzensberger

No, non mi tossisca mentre apro
con istinto da stupido la bocca,
non mi trasmetta i suoi germi, il suo
inesausto desiderio di lotta
all’incrocio che assieme attraversiamo,
pedoni al semaforo-mostro di Shibuya,
passaggio che non sai dove ti porta
perché tutt’altra cosa
dall’incontro razionale di due strade

Cuore mondiale, invece, di sciarade
qui dove tutto e tutti convergiamo
in un unico punto,
molecole invisibili nel flusso
di cui ci si è trovati a fare parte
percorrendo in diagonali smisurate
quel che non è più l’itinerario
del piano di cammino originale
o del ristorante a buon mercato
studiato sulle carte
quando niente più è chiaro
a partire dal tuo
stesso statuto identitario,
la posizione d’allineamento al raggio
dei soli o delle lune come vuote
ipotesi di viaggio

Andare all’attacco d’interi eserciti
se non in casi estremi
per l’uomo solo non ha
speranze di riuscita,
così che io viandante mi ritrovo
a interrompere per sempre la mia rotta
e il pensiero vuole buchi nella pioggia
una scelta o una porta
come uniche e remote
vie d’uscita

 

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L’uomo

 

Sembra il medico di un tempo trapassato
l’uomo alto nel cappotto démodé
e un paio di scarpe con la para, l’aria
di chi è passato per caso,
in direzione contraria

Forestiero o angelo
d’un po’ di duraturo
brutto tempo?
O invece un tuo segreto
comparire d’incanto
sotto mentite spoglie
di sesso, di abito, di sguardo?

Non voglio sia questione
di puro smarrimento
né lo choc il dolore inatteso
del ra-ta-ta improvviso di persiane
calate da mia madre come un amen

 

*

 

Al funerale di un amico

In memoria di Marco Santagata

 

Con gli addii
è il solito disastro

Dopo mio padre che un prete ubriaco
ha accompagnato dall’altra parte
chiamandolo per tutto il funerale
Gisberto invece di Gilberto
tanto che ancora lo penso
vagante in un pioppeto
col suo nuovo nome medievale
dentro lo snebbiare di questo
inverno non più inverno

Dopo questo mancato congedo
più o meno lo stesso
è successo con te l’altro sabato
quando con voce tonante
un suddiacono ha chiamato
sotto l’altare, per due
concise parole di saluto
un tale Livio o Emilio
Bertone professore,
autorizzato a traghettar di là
ma solo sotto falso nome
il suo amico Marco,
esperto mondiale di Dante,
Petrarca e tutto,
tutto il nostro meglio

Così però quel suddiacono ha scambiato
il tuo posto vicino al Purgatorio
con quello di chissà chi altro
lì, nell’ingorgo di coloro
che per speculum in aenigmate
e cioè arrivati al dunque,
aspettano solo
d’imboccare all’incrocio
una strada qualunque

 

*

 

Ma Dio è poeta?

a G. P.

Sarà mica un angelo di Dio
questa nuvola orlata di rosa
appena guardo il cielo, un gesto
impalpabile di frulli messaggeri,
ancor meglio se di passeri
metafisici segni

Di Gesù o di Marinetti
aeropoemi?

Ma no,
ad ascoltarne gli adepti,
Dio esistendo canterebbe
cuori più semplici e più veri
in un’epifania di estasi
e di varchi celesti
fra la gola e lo stomaco
lì dove si rompono i respiri
mentre una penna buona da prodigi
traduce in tre parole
e molte armonie divinatorie
questo Ente Supremo travestito
da poeta romantico
già estinto

 

*

 

Quanta neve

Progressivamente, verso il modenese
si liquefà e scompare
la neve

Pochissimo, a noi, quasi niente
resta da fare
se non pensare
alle donne come sono belle
ancora senza trucco, appena sveglie
le labbra di ciliegia, le gambe snelle
e alla voglia d’incontrarle
lontano dalle case
quando a ogni costo
vorremmo farci largo
fra i cespugli e le isole di fango
del piccolo parco domenicale
in quelle mezze ore senza sole
un attimo dopo che è sembrato
cadere il finimondo
sui vetri delle auto
le dita assiderate nell’inverno
di musiche bianco

 

 

© Fotografia di Dino Ignani