Ivan Talarico, Inediti

Ivan Talarico, cantautore poeta e teatrante, vive a Roma. È stato ospite al Premio Tenco 2016 e ha vinto il premio come miglior testo a Musicultura 2015. Ha pubblicato due libri di poesie, Ogni giorno di felicità è una poesia che muore (2014) e Non spiegatemi le poesie che devono restare piegate (2016) per Gorilla Sapiens Edizioni. Nel 2019 è uscito il suo primo disco Un elefante nella stanza per l’etichetta Folkificio. Nel 2021 ha pubblicato “Dizionario degli amori impossibili”, un libro di racconti per Neo Edizioni. Da anni conduce il laboratorio “Come smettere di scrivere per scrivere meglio” e altri progetti sulla creatività e la scrittura, insegnando anche nelle strutture carcerarie.

*

UN ESERCIZIO DI SOPRAVVIVENZA

Le noci, sul bordo
del tavolo, stanno per
cadere, ma qualcosa
le tiene ferme, come
un esercizio di sopravvivenza.

Le noci cadono, qualcuno
le ha spinte, ma non
si rompono, il guscio
è fatto per sopportare
una forza maggiore.

Qualcuno calpesta le noci,
non si rompono, lui
scivola, cade e batte
la testa, non mangerà
le noci, che sono salve perché
il tempo le ha indurite.

Qualcun altro arriva, vede
quello riverso a terra, pensa
di aiutarlo, ma prima
ha tanta voglia di mangiare
una noce.

La rompe e qualcosa si rompe
dentro di lui. È secca
e ammuffita, come lui
così si sdraia a terra, accanto
all’altro e aspetta
il suo turno.

*

INCENDIARE IL BIANCO

Impazziti gli angeli
ci hanno fatto passare,
nonostante avessimo detto
a gran voce e senza giri
di parole che eravamo lì
per incendiare
il paradiso.

«Andate, andate pure»,
incauti gli angeli,
che a forza di essere custodi
si erano affezionati a noi uomini.

Abbiamo girato per il cielo due o tre volte
fino a trovare le porte.
Non c’è stato bisogno di distruggerle,
erano aperte.

Ci è venuto incontro dio
senza affanno, con la stanchezza
ridente dell’eternità
e ci ha chiesto perché volevamo
incendiare il cielo,
ma sapeva già tutto.

«Perché non esiste,
non c’è paradiso, non c’è inferno,
non c’è dio, nessuno lo attesta.
Lo facciamo per protesta.»

E lui, affatto offeso, ci ha detto «Va bene».
Così abbiamo svuotato le taniche di
benzina sulle nuvole e sulla sua barba
bianca e abbiamo acceso
un prospero senza intenzione
di prosperità.

Dio non si è mosso affatto nell’incendio,
dimostrando più stile di suo figlio.
Si è lasciato bruciare in modo
inarrivabile, divino, confidenziale.

E poi non ci siamo svegliati,
perché eravamo morti.
Invece del paradiso
siamo rimasti per l’eternità
tra macerie fumanti
e nuvole bruciate.

*

UN ARCOBALENO AL CONTRARIO

Dimmi quando sei laguna
di sale, di sole
al bordo di un mistero.
L’ordine fatto di catrame
è una palude per i sogni.

Solleticami, dividi
il mio nome,
lasciami naufragare
come papera di gomma
gialla
nella tinozza tra schiume
e bolle ad aspettare
il bambino interiore
che fa del corpo un asilo.

La vita è come
un arcobaleno al contrario,
al posto dei colori
i dolori,
al posto del cielo
il sentiero che porta
ad un cimitero in festa.

Bare coi fiocchi,
morti in doppiopetto
che soffiano stelle filanti
e bevono spumanti.
Fornetti da cui escono
pizzette da mangiare
a perdifiato – tanto il fiato
non c’è più,
l’ultimo respiro è esalato -;
una tira l’altra.

I morti sono la nostra allegria

che spesso giace sepolta
dal pensiero di quello che è stato.
Chi ha avuto, chi ha dato,
scordiamoci il passato
e beviamo l’ultimo bicchiere
prima che sia giorno
in questo svenuto mestiere
che è vivere in punta
di parola mancata
e il resto, come
una civiltà dimenticata,
alla prossima puntata.

*

Ph. Lucrezia Testa Iannilli.