Andrea Bianchi
Roy Campbell
Testo tradotto da Andrea Bianchi
Tartaruga fiammante
Quante volte ho perso questo stile infervorato
e mi sono buttato giù in luoghi foschi fino a dove stanno le nidiate
giù sopra certi diavolacci tutti miei personali, ogni giorno:
la vita è un corridoio polveroso, dico,
chiuso da entrambi i lati. Ma lontano lungo la pianura,
il Vecchio Oceano ringhia e scuote il suo grigio crine, e artiglia le rocce con la sua antica foga
oppure sollevando pigramente qualche cresta bianca di spuma,
la sua chiara piuma schiumosa e poi la fa bruciare dalla luna –
allora sento nuova linfa scorrermi nelle vene,
il vigore mi serra i muscoli già torpidi,
e nel vecchio cratere carbonizzato di teschi
la luce taglia la quieta mente sonnambula
e la porta in giro per cavalcare il vento impetuoso,
fissandosi sui cocuzzoli alti nell’aria,
agitando il falò dorato dei suoi crini.
Questo improvviso vigore che cattura le anime degli uomini
e li solleva come giganti per aria,
come un dono fin lassù dove l’oscuro oceano si frange,
e ali d’aquila quando si leva il vortice,
resta chiaro per me nella sua vera identità
(nessuna entità spirituale o folletto alato
come Ariel che frulla sui vuoti venti).
Lo vedo come un’ipotetica Tartaruga,
a fare rafting tra tutte le isole poggiando sul suo scudo tempestoso,
costruito di duri metalli fusi col nero
che sta nelle fondamenta più profonde della terra…
La tartaruga fiammante, svolto il suo compito,
si incurvò come una nuvola sopra la montagna, e balze e campi
si stagliavano lungo la linea dell’orizzonte.
Il sole che andava lontano
lanciò le sue frecce contro il fiero scudo della tartaruga
che era una cupola brillante percorsa dalla luce a sbalzi improvvisi
mentre di riflesso illuminava coi lunghi raggi mandati dal sole:
e insieme i suoi occhi rossi scorrevano qui e là i suoi occhi rossi, una doppia luna
che colpiva i fianchi delle colline come un’altra sera,
e la tartaruga si fermò per riposare. I suoi fianchi dorati, stanchi
sopra le schiume del mare, ora scomparivano lentamente:
e come le nuvole scorrevano immense e si avvolgevano e di nuovo
scoppiavano nel tuono intorno alla collina desolata,
lenta la spuma si ravvolse intorno alla tartaruga: sopra il suo profilo
di montagna selvaggia, come di pesi ammucchiati,
si fermò per un momento, fissa in una posa fosca,
e poi s’inondò come spaccandosi in basso, e dal suo denso
vortice di tuoni, con un movimento graduale
prese a scorrere, gemendo, in cerchi sul fondo…
Contro il cielo oscurato si sono raccolti innumerevoli
avvoltoi bellicosi che vogliono fioccare sul mio corpo;
contro il debole arco della trama celeste
dietro l’oscurità che incombe sulla notte ancora nascosta; contro il fatto che crediamo che la fine
sia tutto fuorché la fine, e che la carne stravolta si sbricioli
e che l’animo orgoglioso, preso a nolo dal suo tempio, cada
nell’oscurità dove batte contro il vuoto dei venti
in un vortice che percorre l’aria come fanno le zanzare – cos’è
che ci marchia sulle cime di montagna,
così senza paura sul ciglio dell’abisso,
dove nello spazio del terrapieno roccioso e sottile si sprofondano
e sibilano i venti abbandonati?
È il cantare, silente, dell’anima:
Contro i tempi che cambieranno e le età di tempesta che scorreranno via,
io sono il vecchio cacciatore delle pianure
che affetta la pelle increspata del Bisonte:
parola d’ordine: io sono il sognatore che rimane per voi,
l’Uomo che si ritaglia nitido sull’ultimo orizzonte!
*
How often have I lost this fervent mood,
And gone down dingy thoroughfares to brood
On evils like my own from day to day:
‘Life is a dusty corridor,’ I say,
‘Shut at both ends.’ But far across the plain,
Old Ocean growls and tosses his grey mane,
Pawing the rocks in all his old unrest
Or lifting lazily on some white crest
His pale foam-feathers for the moon to burn –
Then to my veins I feel new sap return,
Strength tightens up my sinews long grown dull,
And in the old charred crater of the skull
Light strikes the slow somnambulistic mind
And sweeps her forth to ride the rushing wind,
And stamping on the hill-tops high in air,
To shake the golden bonfire of her hair.
This sudden strength that catches up men’s souls
And rears them up like giants in the sky,
Giving them fins where the dark ocean rolls,
And wings of eagles when the whirlwinds fly,
Stand visible to me in its true self
(No spiritual essence or wing’d elf
Like Ariel on the empty winds to spin).
I see him as a mighty Terrapin,
Rafting whole islands on his stormy back,
Built of strong metals molten from the black
Roots of the inmost earth….
The Ark is launched; cupped by the streaming breeze,
The stiff sails tug the long reluctant keel,
And Noah, spattered by the rising seas,
Stands with his great fist fastened to the wheel.
Like driven clouds, the waves went rustling by,
Feathered and fanned across their liquid sky,
And, like those waves, the clouds in silver bars
Creamed on the scattered shingle of the stars.
All night he watched black water coil and burn,
And the white wake of phosphorus astern
Lit up the sails and made the lanterns dim,
Until it seemed the whole sea burned for him…
The Flaming Terrapin, his labours done,
Humped like a cloud o’er mountain, crag and field
Rose on the skyline. The far-shooting sun
Splintered its arrows on his fiery shield,
From whose bright dome in sudden ricochets
Recoiling flashed the long reflected rays:
While, rolling his red eyes, a double moon
That lit the hillsides with a second noon,
He sank to rest. His golden ridges, tiered
Above the foam, now slowly disappeared:
And as clouds roll immense and globed and still
To burst in thunder round a lonely hill,
The slow foam gathered round him: o’er his wild
Mountainous outline, ponderously piled,
It hung one moment, poised in grim suspense,
And then swamped crashing down, and from its dense
Vortex of thunder, with a gradual sweep
Rolled forth in groaning circles on the deep….
Though the dark sky has gathered stormy numbers
Of vultures to be snowed upon my corpse;
Though the weak arc of Heaven warps
Beneath the darkness that encumbers
The night beyond; though we believe the end
Is but the end, and that the torn flesh crumbles
And the fierce soul, rent from its temple, tumbles
Into the gloom where empty winds contend,
In gnat-like vortex droning – what is this
That makes us stamp upon the mountain-tops,
So fearless at the brink of the abyss,
Where into space the sharp rock-rampart drops
And bleak winds hiss?
It is the silent chanting of the soul:
‘Though times shall change and stormy ages roll,
I am that ancient hunter of the plains
That raked the shaggy flitches of the Bison:
Pass world: I am the dreamer that remains,
The Man, clear-cut against the last horizon!’
Fotografia di proprietà dell’autore