Luca Tognoni (Milano, 1977) si è laureato in Filosofia a Verona, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Distanze (2015), Novembre (2018), Filigrana di parole (2020, con introduzione di Alessandro Fo) per Campanotto editore. Sue poesie sono apparse sul blog letterario Pioggia Obliqua.
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«Mi avrebbe/ risposto, potendo»: così, della sua perduta cagnolina, scrive il poeta appartato, delicato, solitario Luca Tognoni. La sua voce, in questa scelta di inediti, spazia sul ristretto universo degli affetti: i genitori, un animale di compagnia che – a differenza, forse, di tanti ‘umani’ – umanamente lo avrebbe confortato, in caso di bisogno. Intorno a questo centro del mondo gravitano oggetti incantati, come una sciarpa blu frutto di paziente lavoro, o i girasoli ricevuti da una persona cara in regalo («dono del tempo»), evocativi, nel loro splendore, di un habitat del passato (quella volta intriso di dolore, ma anche di recupero alla vita). Il tessuto poetico si snoda sotto i nostri occhi per brevi pennellate, periodi spezzati nel cerchio di una meticolosa, attenta osservazione della vita, via via cresciuta nel cuore di chi scrive grazie a un puntuale insegnamento materno. Di là da tutto questo, nel tempo e (ancora) oltre il nostro tempo, si accampa l’enigma di ipotetici prolungamenti dell’esistere, in cui speriamo di rinnovare gli incontri – sebbene, nell’al di qua, quel pacato fluire degli istanti e dei giorni coincida con l’entropia, si traduca (come per le statue) in tracce di colpi sul corpo, sugli occhi.
Alessandro Fo
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Il tempo
Da profili di statue
apprendo la lezione
del tempo. Resta un naso
ammaccato. Un labbro scalfito
da un sasso che cadde improvviso.
Un occhio di pietra segnato
da colpo sferrato.
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Di là
per papà
Fatto a pezzi il presente.
Infranto lo specchio che ci teneva
uniti. Che c’è
di là. Il tuo viso di vecchio. Il tuo sonno
interrotto di vecchio.
Albeggia. Gli uccelli cominciano
un canto confuso. I sogni rilasciano
frammenti di frasi
che non hanno più seguito
in veglia. Che c’è di là. Il nome
di Dio pronunciato da molti
silenzi. C’è la morte.
La tua stessa morte. L’istante in cui
la vedrai. C’è qualcosa di là. Luce
ovunque, ma con altre,
più precise parole.
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La sciarpa
per Paola Spighi Tanzi
Girasoli per te,
nel confuso viavai
della gente. Sei felice di averli.
Deponili in vaso, in soggiorno,
dove cuci la lana.
Sono un dono del tempo.
Da seme paziente, nati alla luce.
Ce n’era già un campo
in San Rossore, giù a Pisa,
nella clinica dove
Massimo e io risorgemmo. Conservo
la sciarpa che hai
appuntato con abili mani
di madre. Blu. Del colore del cielo
che imbruna. Sta lì.
Nel cassetto più alto. La indosso.
È morbida e calda. Ti penso
dormire rapita da un sonno
leggero. L’età.
Un marito devoto
e perduto. Un figlio lontano.
L’altro ti sarà sempre accanto.
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Quando sarà
per i miei genitori
Se nel bianco guardando
noterai il bucaneve,
quello è il segno che noi
ti pensiamo. Ti abbiamo
insegnato a osservare
la vita. La famiglia
dei ricci. Il porcino
sotto nera radice.
Non temere la morte.
È una madre che chiama
dopo il gioco i suoi figli
per il sonno serale.
Tornerà primavera.
Con la pioggia spunterà nuova erba.
Ci saprai nel brusio
di ogni primo mattino.
Nell’aspra dolcezza del frutto.
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Titty
A un cane si parla
come quando si parla
a un bambino. Confidenze profonde
o sciocchezze. Per scherzo
o sul serio. Mugola e guarda,
ma non manca davvero
pensiero perché istinto
è pensiero: un pensiero
diverso e efficace
che spinge all’azione.
Le intenzioni le sa,
se qualcuno si avvicina bonario,
offrendo la mano. Affonda il suo muso
nel cavo. Avverte un odore.
Avevo una cagna.
Una piccola cagna volpina,
bastardina vivace.
Seppellita a dieci anni
col cancro nel sangue.
A lei sola raccontavo i problemi,
le ansie, i motivi di gioia. Sicuro
capiva. Mi avrebbe
risposto, potendo.
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© Fotografia di Taiyou Shounen