Ivan Fedeli, “La gioia elementare” (Luigi Pellegrini, 2025) — Anteprima editoriale

 

Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui “Dialoghi a distanza” in “Sette poeti del Premio Montale” (Crocetti), “Virus” (ed.Dot.Com.Pres.), “A margine” (Ladolfi editore) e, per i tipi di puntoacapo editrice: “Campo lungo” (2014, Premio “Casentino”), “Gli occhiali di Sartre” (2016, Premio San Domenichino, Premio “Vent’anni di Atelier”), “La meraviglia” (2018, finalista Premio “Caput Gauri”), La buona educazione (2020), Cose di provincia (2022).

 

 

 

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Il solito settembre come solo
settembre sa nel cappuccio alle sette
da Tiziana quel suo sapore basso
di periferia mentre ti parla
di crisi climatica e osteoporosi
così da vent’anni in un bar da giorni
feriali le stesse facce gli stessi
odori i muratori di Lodi
i pendolari che imprecano un po’
solo più bianchi sgualciti dal tempo.
Vuoi le sigarette poi dice e guarda
di fuori pozzanghere e strade quasi
restasse intatta ogni cosa ogni cosa
morisse di meno in tal modo. Anche
noi allora tu pensi anche le fermate
dei tram le facciate ocra dei palazzi
di lato le nuvole in alto le nostre
parole già andate i silenzi le cose.

 

(dalla sezione “L’arte del trasloco”)

 

 

 

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Dimmi del cielo di viale Adriano
così immobile imperiale al tramonto
mentre scema di luce e la città
diventa niente. Scivola lontano
dopo i lampioni al neon e la Lidl
che campeggia tra parcheggi e carrelli
quando fa malinconia la sera
e le donne hanno un silenzio borghese
dentro dopo la spesa e il pensiero
ai mariti alla prostata che va.
Più in là il silenzio operaio di chi
scende dal tram qualche finestra accesa
dai palazzi magri. È marzo anche qui
te ne accorgi dall’odore del traffico
dalla pizzeria cinese d’angolo
piena di voci. Vita da rubare
anche questa pensi aprendo il portone
poi il vociare al primo piano di gente
in affitto e il soffritto sulle scale
che si sente salendo, inesorabile.

 

(dalla sezione “Gli inadatti”)

 

 

 

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Eppure resterà qualcosa credo
di noi almeno un Pasolini due tre
versi di Raboni a guardia di un secolo
forse la voce di Mina qualche appunto
su Heidegger ormai perso i vent’anni
irresistibili mai domi. Cose
queste che appartengono e separano
come è del tempo il dovere così
tornano nei sogni a volte così
le ricacciamo in qualche angolo un po’
buio dove resistono in silenzio.
E ti ho pensato oggi mentre scrivi
lettere d’amore tu in un giorno anni
Ottanta poi corri in un prato ridendo.
Ma è solo fantasia di padre credimi
se ti parlo e te ne vai in qualche mondo
adesso tuo e a me lasci qui un silenzio
in questa epoca priva di padri.

 

(dalla sezione “Novecento”)

 

 

 

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