«Il giorno si annienta nella notte, la terra sconfina nell’altrove». Su “Versi a Dio” (Crocetti, 2024) – Anteprima editoriale

Nota a cura di Sarah Talita Silvestri

La poesia, prima orale e poi scritta, nasce in tutte le civiltà come forma d’arte strettamente connessa alla sfera sacrale, sgorga come mezzo attraverso cui, in forma misterica e ritmica, il divino si rivela al mondo: i cieli erompono sulla terra e la terra s’innalza fino alle dimore di Dio.
È un roveto ardente Versi a Dio di Crocetti Editore, l’antologia curata da Davide Brullo, Antonio Spadaro e Nicola Crocetti, una teofania che si materializza come cammino nel grembo dell’uomo, dai suoi primordi, attraverso i secoli di un linguaggio ancestrale, preesistente dalle mille sfumature convergenti verso un punto focale: la dimensione sacra della poesia e dell’uomo che mediante il linguaggio poetico si eleva fino a piagare il cuore del divino.

Questo vertere, volgersi a Dio, accomuna il poeta di sempre e di ovunque, poiché “nel tempo della notte del mondo, i poeti con il canto inseguono il sacro”.

“La vita senza poesia non funziona”, scrive papa Francesco nella lettera introduttiva alla silloge, perché tutti aneliamo, desideriamo, conteniamo quel seme divino che rigetta la finitudine e ci spinge oltre e la poesia, l’arte, come l’esperienza di Dio è sempre “debordante” e “nulla limita il dire del poeta”, per questo è necessario che sia pronto alla critica, che impari da essa.

I poeti sono “occhi che guardano e che sognano” dice il papa, ed è questa la natura dell’uomo, in quanto capax Dei, capace di conoscere Dio, di dire la sua presenza, come anche la sua assenza.
La poesia è una preghiera che non prega e che fa pregare per Bremond e allora il confine sottile tra preghiera e poesia sovente si sgretola, scrive Spadaro, quando tra il poeta e il suo lettore si innesta Dio, questa terza presenza che con potenza si palesa, entrando in un dialogo indeclinabile.

Se Dio è il “grande poeta dell’umanità”, allora il poeta è colui che è in grado di dire di Dio, a Dio e per conto di Dio come nessun altro e che conferisce al mistero una voce, si fa lingua di un cuore traboccante che cerca, anela e ruggisce.
La propria natura di profeta lo avvicina a quel mistero divino intangibile e pertanto inesprimibile, che non si riesce a vedere se non attraverso quel “bagliore” di cui parla Pindaro, e che si può cogliere come sussulto in poesia.

Cosa accomuna dunque il canto cosmologico dei pigmei dell’Africa equatoriale alle invocazioni degli sciamani delle steppe, i versi dei precolombiani del Guatemala al Prologo del Vangelo di Giovanni, le poesie dell’indiano Tukarama a quelle di Cristina Campo, Yose Ben Yose a Mahmud Darwish?
“Da ogni parte, Dio, mi trafiggi”, l’esperienza di Dio che trapassa da parte a parte l’uomo-poeta
nella miseria, nel dolore, nella gioia, la divinità che si manifesta per mezzo del creato, della malattia, del vuoto, a volte incolmabile e straziante, che dà speranza, e pure orrore.

Versi a Dio dispiega “un’infinita caccia reale”, quella richiesta dalla poesia: il poeta è come Giacobbe, che oltrepassato il guado dello Iabbok, resta solo e “qualcuno” combatte con lui fino allo spuntare dell’aurora, e tenace resiste, ferito continua a lottare, si scontra con Dio, Lo costringe a venire a patti, fa razzia della sua luce, si fa benedire, inscrivendoLo nei propri versi.

 

 

di Sarah Talita Silvestri

 

 

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BURIATI, SIBERIA
Invocazione agli spiriti-signori locali

 

Alla mia bocca aggiungete una bocca,
alla mia lingua aggiungete una lingua,
al mio corpo aggiungete un corpo,
alla mia mano aggiungete altre mani,
al mio piede aggiungete altri piedi;
considerate, voi spiriti, ciò per cui io oggi
vi prego e per cui oggi vi invoco!

 

 

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BASAVA
(Basanava Bangewadi, India 1131 – Kundalasangama, India 1196)

 

Padre: poiché ero ignorante
mi hai conficcato nel grembo di una madre
mi hai trascinato tra mondi improbabili.
Era sbagliato che nascessi
o Signore?
Perdonami se sono nato.
Mi lego a questo voto,
Signore dei fiumi che si intrecciano:
non tornerò più in questa dimora.

 

 

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LALLA
(Srinagar, India 1320 – Kashmir 1392)

 

Il giorno si annienta nella notte
la terra sconfina nell’altrove.
La luna è inghiottita dall’eclissi
come la mente, durante la meditazione
è completamente assorbita
dal Vuoto.