© Fotografia di Dino Ignani

Umberto Piersanti, “Memoria” (Vallecchi, 2023)

A cura di Federico Migliorati

Ogni poeta si trova naturaliter a fare i conti con la “memoria”, elemento imprescindibile che viene dispiegato nei versi, sia esso argomentato sia esso parcellizzato in un rivolo di considerazioni o ancor più nascosto o velato da figure retoriche. Su di essa si interroga Umberto Piersanti, autore del più recente, nono librino edito da Vallecchi Firenze per la collana Le parole della poesia diretta da Isabella Leardini: “Memoria”, appunto, è il titolo che il poeta e intellettuale urbinate ha scelto in luogo della “natura” (l’ipotesi iniziale), per condensare e proporre la propria visione del fenomeno ricorrendo, com’è ormai sua consuetudine, a richiami, “dialoghi”, rimandi ai testi di letterati a lui più cari, segnatamente Pascoli, Leopardi, Saba, Carducci. C’è un tempo dell’esistenza, quello dell’infanzia soprattutto, che assorbe emozioni, sentimenti, visioni destinati a formare quel patrimonio mnemonico che ci portiamo dietro e che risalta alla distanza, luogo privilegiato per ogni scrittore in versi: è all’età più verde che sovente ci riferiamo per recuperare affetti perduti, “luoghi persi” (espressione dello stesso Piersanti su cui torneremo più avanti), situazioni ormai lasciate alle spalle. L’epopea poetica dell’urbinate offre un caleidoscopio di immagini, spesso trasfigurate e trasposte nell’attualità, che si ricollegano a ciò che non è più, allo sperduto bambino che egli era: le Cesane con le sue atmosfere, l’esperienza scolastica nel collegio Raffaello, la fauna e la flora che popolavano il Catria, insomma un “paesaggio mentale” e privilegiato prim’ancora che fisico, fortemente introiettato nella sfera visiva e immaginaria dell’autore. Appare interessante anche il confronto tra il “tempo differente”, come viene definito nel librino, e il “tempo quotidiano”: se il secondo è più semplicemente l’insieme di azioni che compiano nel corso della giornata e destinato quasi sempre a non lasciare traccia nella memoria, il primo vive e respira di un ritmo altro e diverso, di una dimensione ulteriore assurgendo a tempo “della fuga, dell’amore, della contemplazione”, più dilatato rispetto al primo, a cui forniamo un quid di valore in più poiché, spesso, destinato a essere rammentato, a divenire cioè esso stesso “memoria” più o meno involontaria. Nelle liriche del poeta si prediligono l’elegìa e l’idillio e questo perché mentre la prima ha come compito quello di temperare, limitare talvolta trasfigurare un dolore o alleviare dallo stesso, un’assenza, una mancanza, il secondo si pone come obiettivo quello di cercare la perfezione, sovente nell’ambito naturale in cui sogno e realtà “giuocano” insieme sino a confondersi. Arriviamo così a concepire il valore della memoria individuale, quella di ciascuno di noi: essa vive, persiste, ha un suo svolgimento e un suo senso solo se dà forma e identità alla somma dei giorni vissuti consentendo alla persona di definirsi in quanto tale, figlia a sua volta del proprio passato. Ecco, allora, che come per la memoria collettiva di foscoliana memoria, quella individuale tocca il tema dell’immortalità poiché diventa elemento trainante, di passaggio e di testimonianza dall’uno all’altro essere umano. Ma torniamo per un attimo all’espressione “luoghi persi” così caro a Piersanti perché in “Memoria” troviamo un’efficace descrizione di essi ad opera di Carlo Bo, il grande critico e rettore dell’Università di Urbino che gli fu collega e che così scriveva: “I luoghi persi sono le sue Georgiche, di natura familiare (…) per cui la natura viene sostituita dalla memoria e nella memoria compie una seconda operazione di metamorfosi”. E, in fondo, non è forse vero che tutta la sua opera non è altro che un rimestare acuto e costante, quasi maniacale, nella propria vita per cesellare una memoria definita e chiara? Una memoria che s’inciela, che sconvolge, che supera gli angusti spazi dell’autobiografia e del cronachismo quotidiano per diventare conquista, acquisizione al miglior patrimonio letterario contemporaneo.

 

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(…) tu sai che la memoria
trascolora i giorni
e  in parte muta,
che nell’infanzia cerchi
l’Eden che ti spetta,
Eden che solo nella memoria
ha una dimora,
ma un riso coi fagioli
ti ricordi,
t’aspetta in una sera
quasi l’inverno,
è lì,
sulla tovaglia bianca,
coi coltelli e i bicchieri
giusti ed esatti,
è la madre e il padre
dai nomi immensi,
la sorella castana
e quella bruna,
la notte scende
lenta alla finestra
e sulla strada bianca
che porta al mare,
e quel piatto che fuma
ce l’hai accanto,
senti l’odore
e il fumo
sulla bocca,
non c’è memoria
che lo trasfiguri,
è vero, più vero
di quest’ora presente
e forestiera

(…)

e come stai nell’acqua,
nuotare è un’altra cosa,
tu ci cammini dentro
e ti ci muovi
come un queto animale
dei miei fossi,
la verde raganella,
il lento granchio,
fluttuano i tuoi capelli
come al fauno,
fauno-fanciullo mite
e innocente

(…)

e ti rallegra
guardarlo
altissimo e luminoso
sulla forcella
senza foglie attorno
della quercia immensa,
s’alza lì,
tra le viti
di rossa bersigana,
in faccia a Viapiana

ah, la bella famiglia di verdoni
che lì s’aggira
e plana,
li riconosci
dall’acceso colore
sotto le ali

 

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Umberto Piersanti è nato ad Urbino nel 1941 e nella Università della sua città ha insegnato Sociologia della letteratura. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche, tra cui La breve stagione (1967), I luoghi persi (1994), L’albero delle nebbie (2008), Nel folto dei sentieri (2015), Campi di ostinato amore (La nave di Teseo, 2020) ed è anche autore di romanzi e opere di critica. Ha realizzato un lungometraggio, L’età breve (1969-70), tre film-poemi e quattro “rappresentazioni visive” su altrettanti poeti per la televisione. Le sue poesie sono apparse sulle principali riviste italiane e straniere, tra cui “Nuovi Argomenti”, “Paragone”, “il Verri”, “Poesia”, “Poetry”. In Spagna, nel 1989, è uscita l’antologia poetica El tiempo diferente e negli Stati Uniti la raccolta Selected Poems 1967-1994 (2002). Tra i numerosi premi vinti, ricordiamo il San Pellegrino, il Frascati, il Mario Luzi, il Ceppo Pistoia, il Tirinnanzi, il Camaiore e il Penne. È il presidente del Centro mondiale della poesia e della cultura “Giacomo Leopardi” di Recanati.

 

Federico Migliorati è laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista. Collabora con L’Indice dei Libri del Mese, il Quotidiano del Sud e i lit-blog Laboratori Poesia e Avamposto-Rivista di poesia. Membro dell’Accademia Pascoliana, ha curato e dato alle stampe volumi dedicati ad alcuni protagonisti della letteratura del Novecento. Di lui ha parlato, tra gli altri, Maurizio Cucchi su Repubblica.

 

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