Umberto Piersanti, “L’isola tra le selve. Poesie scelte 1967-2024” (Marcos y Marcos, 2025) — Anteprima editoriale

 

Umberto Piersanti è nato a Urbino nel 1941, dove tuttora vive e insegna. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche – I luoghi persi (Einaudi, 1994), Nel tempo che precede (Einaudi, 2002), L’albero delle nebbie (Einaudi, 2008) e Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos, 2015) -, saggi e opere di narrativa – L’uomo delle Cesane (Camunia, 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio, 2001), Olimpo (Avagliano, 2006), Cupo tempo gentile (Marcos y Marcos, 2012) -; è anche autore di film: L’età breve (1969-1970), Sulle Cesane (1982), Ritorno d’autunno e Un’altra estate (1988). Tutte le raccolte precedenti le tre sillogi edite dalla Einaudi sono uscite in un unico volume dal titolo Tra alberi e vicende (Archinto, 2009). Recentemente è uscita la sua raccolta poetica intitolata Campi d’ostinato amore (La nave di Teseo, 2020), con la quale ha vinto il Premio Saba 2021 e il Premio Speciale Camaiore 2021. Nel marzo 2022 Crocetti editore ha stampato una nuova edizione de I luoghi persi con una sezione di dodici inediti e la prefazione di Roberto Galaverni. Nel 2024 è uscita la ristampa de L’urlo della mente per Samuele editore. La sua opera in prosa più recente è un libro di racconti, Anime perse (Marcos y Marcos, 2018). Dal 2016 è Presidente del Centro Mondiale di poesia Giacomo Leopardi di Recanati.

 

 

*        *        *

 

 

 

 

*        *        *

 

 

L’isola

 

Ricordi il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo e odoroso, scendere per i dirupi
sopra quel mare? e le capre
tenaci brucare il timo, l’enigma
dello sguardo che si posa
dovunque e sempre assente?

più non so il luogo dell’imbarco
come salimmo nel battello
quali erano le carte per il viaggio.

Scendevi alta per lo stradino polveroso
antica come le ragazze
che portarono i panni alle fontane
la tua carne era bruna come la loro.

Férmati nella radura dove il vento
ha disseccato e sparso i rosmarini
qui potremmo vederle se aspettiamo
immobili alle euforbie quando imbruna
vanno alla bella fonte degli aneti
giocano lì nell’acqua e tra le erbe
e mai s’è udito un pianto
sono felici.

Tu eri come loro, solo una volta
quando uscivi dal mare, ti sei seduta
nei gradini del tempio, un’ombra appena
trascorse di dolore nella faccia.

Seppi così che il tempo era finito
che tra gli dei si vive
un giorno solo.

E riprendemmo il mare
normali rotte.

Qualcun altro s’imbarca, attende il turno
né l’isola sprofonda
come vorrei.

 

 

Gennaio 1990
Da “I luoghi persi”

 

 

 

*

 

 

La giostra

 

ah, quella giostra antica
nella ressa di scooter
di ragazze vocianti, luminose
dentro jeans stretti
e falsotrasandati,
dei fuoristrada rossi
sul lungomare,
escono da ogni porta,
da ogni strada,
straripano nell’aria che già avvampa,
è l’ora che precede
dolce la sera

ma nessuno che salga
sui cavalli, di legno
coi pennacchi e quella tromba
gialla, come nel libro
di letture, la musica
distante e incantata,
quella che rese altri
le zucche e i rospi

lì c’era una ragazza
tutta sola,
vestita da Pierrot
la faccia bianca,
nessuno che prendesse
i bei croccanti,
lo zucchero filato
dalla sua mano

Jacopo che tra gli altri
passa, senza guardare,
dondola il grande corpo
e li sovrasta,
abbracciò un cavallo
e poi pendeva
dopo riuscì ad alzarsi,
rise forte

figlio che giri solo
nella giostra,
quegli altri la rifiutano
così antica e lenta,
ma il padre t’aspetta,
sgomento ed appartato
dietro il tronco,
che il tuo sorriso mite
t’accompagni
nel cerchio della giostra,
nella zattera dove stai
senza compagni

 

 

Marzo 2001

Da “Nel tempo che precede”

 

 

 

*

 

 

Viola d’inverno

 

no, non tra le acque limpide,
le fredde erbe dei fossi,
ma qui, su questo greppo
scorticato da cancelli
e luci lattiginose
di lampioni nella strada sotto,
Natale se n’è andato
da un giorno solo,
un altro, intero anno
ormai trascorso,
la nebbia che si dirada
a tratti per un chiarore
tremulo e celeste,
scopre una viola
pallida e stupita
così fuori stagione,
d’ogni senso,
tra muschio lucente
e malva spenta

no, non metterla
nel presepio,
tra le brecce
bianche, i frutti rossi
di pungitopo, gli stecchi
secchi del dicembre
che bruciano nei forni
o sopra i monti,
non turbare l’inverno
che quella grotta tiepida
di fiati e paglia
illumina e riscalda

in questo stesso greppo
stento e scorticato,
un cespo di ciclamini,
il più tenace,
riluceva nel gelo

fino a dicembre
questa terra squallida
e contorta, profanata
dagli uomini e dai cani,
due fiori l’hanno scelta,
così segreti
ed appartati,
caso o necessità
non c’è risposta

in un tempo remoto
che la memoria cede
sempre al sogno,
fino qui scendeva
della prima casa
– Villa Gloria di vetri
colorati, di balconi –
quell’orto solo
e immenso,
col padre tra le canne
dei fagioli, le rose
e l’insalata
attorno al pozzo,
lo cerchia dell’infanzia
il vasto cielo

ma tra l’erbe inzuppate
d’acqua nera
più non scorgi la viola
il giorno dopo

e nella casa antica
sotto il fosso
quei morti appena nati
color seppia,
dal limbo che minaccia
li protegge
i cuori e gli altri segni
alle pareti

che senso ha la vita
per chi nella vita dimora
un solo istante?
la fatica del nascere
a che serve?

nata fuori stagione,
subito spenta,
questa viola d’inverno
mi rallegra,
la primavera cova
sotto il gelo

per quelli nati
e morti alle pareti
nessun annuncio c’è
di primavera,
ma il dono della nascita
permane

 

 

Dicembre 2009

Da “Nel folto dei sentieri”

 

 

 

*        *        *

 

 

© Fotografia di proprietà dell’autore.