Tiziano Rossi, nato nel 1935 a Milano, dove vive, ha pubblicato diversi libri di poesia fra cui Il cominciamondo (Argalia, 1963), Dallo sdrucciolare al rialzarsi (Guanda, 1976), Quasi costellazione (Società di poesia, 1982), Miele e no (Garzanti, 1988), Il movimento dell’adagio (Ibid., 1993), Pare che il Paradiso (Ibid., 1998) e Gente di corsa (Ibid., 2000), raccolte confluite nel volume Tutte le poesie, 1963-2000 (Ibid., 2000). Ha inoltre pubblicato volumi di prose brevi: Cronaca perduta (Mondadori, 2006), Faccende laterali (Garzanti,2009), Spigoli del sonno (Mursia, 2012), Qualcosa di strano (La Vita Felice, 2015) e la suite d’arte Fumo, con disegni di Massimo Dagnino (Edizioni l’Arca Felice, 2012). Ha curato con Ermanno Krumm l’antologia Poesia italiana del Novecento (Skira, 1995). E’ presente nell’antologia Poeti italiani del secondo Novecento curata da Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi.
Tiziano Rossi
(inediti)
Gallo cedrone
L’anno scorso, Tarcisio – appassionato cacciatore – aveva abbattuto un gallo cedrone, uccello bellissimo e piuttosto raro. Quando però lo vide sofferente a terra, presso un abete, si intenerì, lo raccolse e gli curò, con grandi premure, l’ala colpita. Dopo un paio di mesi l’uccello era completamente guarito, ma si rifiutava di volar via, perché non aveva correre pericoli e in quella casa si trovava bene: scelta più che comprensibile. Non solo, ma spesso – per non venire sfrattato – si metteva anche a zoppicare e allora si sentivano, fin dalla strada, le grida di rimprovero del suo cacciatore-padrone: « Non fingere, bastardo!».
Dunque l’animale era assurto finalmente a persona.
Attesa /Concentrazione e personaggi
In un cimitero della Puglia la signora Androni sta pregando sottovoce per i propri parenti defunti, e lo stesso fa il messicano Rodriguez in una casa di Oaxaca, mentre in un piccolo spiazzo della foresta congolese il vecchio Mbaye rende onore ai suoi antenati bruciando certe foglie. I loro defunti non ne sanno nulla: sono seduti – ormai senza peso – da qualche parte, sopra delle panchette, borbottando un « Chi lo sa?» e semplicemente aspettando la fine dei tempi.
Flavio ama la concentrazione del linguaggio ed è riuscito a condensare all’estremo i propri messaggi al cellulare; infatti si limita sempre a digitare una S, che ha molti significati possibili e la cui comprensione è affidata alla perspicacia del ricevente.
Nel suo manuale di storia della letteratura il professor Bindoleri ha scritto: « Al fascino della prosa verghiana dei Malavoglia concorre anche il fatto che più di una volta non si capisce quale dei personaggi stia parlando». Ma è una tesi sostenibile?
Tentazioni
Il topo Arnolfo (il nome è di fantasia) era nato e cresciuto nelle fogne ed era ovviamente affezionato a quei luoghi; ne conosceva ogni cunicolo, spiazzo e crocevia e apprezzava il puzzo, così fragrante, che proveniva dagli scarichi industriali e dalle deiezioni umane. Tra l’altro dominava su buona parte di quel mondo, in quanto capo di un numeroso e cordiale parentado. Un mattino, volendo ampliare ulteriormente il territorio di sua competenza, si trovò a mettere la testa al di fuori di un tombino di corso Mazzini e rimase estasiato: davanti ai suoi occhi si agitava una meravigliosa primavera, il cielo era di un limpidissimo celeste e lassù splendeva un solo trionfale, poi spirava un venticello simile a una carezza, una fila di tigli mandava un dolce profumo e delle aiuole piene di fiori variopinti ornavano la strada.
Arnolfo rimase a lungo a contemplare lo spettacolo, si sentiva tremendamente attratto da quella vita luminosa, avrebbe voluto uscire per meglio goderne le bellezze a magari fuggire. Nello stesso tempo, però, avvertiva il richiamo della cara fogna, con il suo calore domestico, i suoi ameni cantucci, le abitudini rassicuranti, la famiglia e le amicizie:sentiva insomma (se mi consentite l’espressione altisonante) la voce de4lla patria. Passò molto tempo, finchè un giorno il signor Loni, che se ne andava per il corso, notò una bestiola che giaceva cadavere allo sbocco di un tombino: era Arnolfo, steso per metà alla luce e per metà nell’ombra.
Massimo Dagnino, Rete fognaria, matita su fotocpia, 2010
Tiziano Rossi, nato nel 1935 a Milano, dove vive, ha pubblicato diversi libri di poesia fra cui Il cominciamondo (Argalia, 1963), Dallo sdrucciolare al rialzarsi (Guanda, 1976), Quasi costellazione (Società di poesia, 1982), Miele e no (Garzanti, 1988), Il movimento dell’adagio (Ibid., 1993), Pare che il Paradiso (Ibid., 1998) e Gente di corsa (Ibid., 2000), raccolte confluite nel volume Tutte le poesie, 1963-2000 (Ibid., 2000). Ha inoltre pubblicato volumi di prose brevi: Cronaca perduta (Mondadori, 2006), Faccende laterali (Garzanti,2009), Spigoli del sonno (Mursia, 2012), Qualcosa di strano (La Vita Felice, 2015) e la suite d’arte Fumo, con disegni di Massimo Dagnino (Edizioni l’Arca Felice, 2012). Ha curato con Ermanno Krumm l’antologia Poesia italiana del Novecento (Skira, 1995). E’ presente nell’antologia Poeti italiani del secondo Novecento curata da Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi.
Fotografia dell’autore tratta dal sito CÍRCULO DE POESÍA