Tiziana Mayer vive e insegna a Varese. Ha pubblicato, tra il 2016 e il 2018, Apocalissi private e Ione per i tipi di Alla chiara fonte e Via negationis con Ladolfi editore nel 2021. Studia e traduce l’ebraico: si è occupata della traduzione delle epigrafi del Cimitero israelitico di Acqui Terme. Nello 2021 è uscita la sua traduzione del commento ai primi tre capitoli del Genesi del rabbino trecentesco Menahem da Recanati, per i tipi della La vita felice. Sempre per la stessa casa editrice, nel marzo 2023, è stata edita la traduzione del trattato La porta della ricompensa di Moshe ben Nahman, teologo e cabalista catalano del Duecento, con prefazione di Piero Stefani.
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Nel fango
Ora che fuochi gravidi di terra hanno iniziato
a minacciare lo splendore del sole che li nutre,
e nella notte a spargere
fiamme di drago
– non sapete, non sapete
che il soldato Petrov è maciullato, e giace
nel fango senza gambe?
Nel fango ove giacquero i suoi padri,
e i suoi vicini ebrei
degli anni Quaranta,
senza un perché giustiziati
nella belletta nera incenerita dagli spari,
nell’aria dolce che del sol s’allegra,
(e per tre giorni respirò la rena) –
è rimasto fisso il Cristo nell’icona. Figgeva
lo sguardo alla lordura
della fanghiglia mescolata al sangue,
alla creatura nuova che dibattendosi, nasceva:
uomo-tronco, immemore ormai del suo passato.
E come suona
lontana l’ora del principio di una guerra che impietriva
oppresso e oppressore, insieme, ed esaltava,
insieme, oppressore e oppresso.
Nella vitrea agonia, adesso sa il soldato che l’amore
per il nostro Io è timore
d’essere inghiottito
dall’azzurro che profondo su noi
incurva le fonti dell’immenso,
e unica salvezza il cielo che, accanto al Cristo,
lo effigerà, monco, a riscattarlo
nel vano non finito del suo abisso.
*
Buča
Sopra la nera mota della strada
non si sollevano i corpi.
Un cingolato porta rantolando
fucili spianati. E dei soldati
uno da versta s’era mascherato,
vestito era il secondo come un demone;
sulla terra scura si allunga una sardana,
una teoria d’occhi spenti e mani inermi.
La morte, vana, s’è compiuta e non altro
scampo è al dolore apparso
che questa sbigottita pace che non muta.
Si rialzeranno i corpi mai,
berranno mai la luce?
Potrà mutarli un lampo?
O, materia inerte, si dissolveranno
in terra, aria, acqua, fuoco?
Poco potrà per loro la speranza, oppure
il loro sonno come alba sarà
che in cielo chiude
ad una ad una le stelle
e tutte le vedute,
perché, celando il viso, l’aprano
al dilagare della luce?
Ma lontano suona del carro
l’avanzare arrochito,
e la terra torturata e il lamento muto
che le fu consorte.
Odi anche tu, nel fioco ritmo del crepuscolo
la piena dell’alba e l’irresistibile
cadenza del suo fuoco?
C’è troppa morte.
*
Reticolati a Odessa
Il quadrato della piazza che s’annera,
e nella sera allunga
il plenilunio diradato in sole;
l’immoto silenzio che dilata
la vita e la grava d’infinito e attesa:
un padre addita
al figlio bambino un cavallo di Frisia
e la sua briglia d’oro che riflette
nel reticolo il cielo tramontato
e l’assottiglia.
E tutto muta: l’oro in spine,
in minaccia la promessa… come nell’ Onegin
Così si vive, ora, a Odessa.