Stefano Simoncelli – Residence Cielo (PeQuod Editore, 2018), Lettura a cura di Paolo Senna

simoncelli coverStefano Simoncelli – Residence Cielo (PeQuod Editore, 2018)

Lettura a cura di Paolo Senna

La lettura di Residence Cielo mi ha spinto a scrivere a Stefano Simoncelli questa lettera che, su suggerimento del destinatario, consegno a Atelier Poesia sezione online. Non si tratta di una meditazione ponderata con il bilancino della critica e dei suoi metodi, ma di una impressione “a caldo” prodotta, appunto, dalla alta temperatura poetica che quelle liriche sanno raggiungere. (Paolo Senna)

Caro Simoncelli,
vengo dalla lettura del suo Residence Cielo e le confesso che è forte in me la tentazione di chiamarla per nome e di iniziare questa lettera con un assai meno formale “Caro Stefano”. Dopo aver letto queste ultime cose sue, tanto profonde e intime (intime perché sono sue ma perché sono anche nostre: appartengono cioè a tutti noi e mi toccano nel profondo), il lettore non è, non può rimanere solo un lettore: è diventato una specie di amico. E la cosa funziona anche in termini di reciprocità: anche il poeta, cioè, lo è diventato, perché ci mostra una via, forse la via. E lo fa con il tono amichevole, appunto, della confidenza e del rispetto, mostrandosi senza troppi orpelli e senza inutili intellettualismi. Questa sua raccolta mi è parsa, anzitutto, come un breviario di dolore e riconoscenza. Se il dolore, la sofferenza, è evidente dato il tema trattato, lo è pure la riconoscenza verso la vita riacquistata. Ma non solo. Anche verso il corteo di figure amate che sono ormai nel mondo dei più. È un tema nodale e al contempo delicato, e non vorrei rischiare di parlarne con superficialità. Le sono grato di questa lezione umana e insieme poetica che con questa sua raccolta ci ha consegnato. Dico “umana e insieme poetica” per un motivo che credo molto serio, anche in sede di critica letteraria. Mi spiego o almeno ci provo: la poesia oggi rischia molto spesso di farsi un gioco intellettualistico oppure di diventare un hobby per molti che amano il distintivo, l’etichetta di poeta. Calza a pennello il (molto intelligente) riferimento alle Devozioni perverse di Raboni citato nel risvolto di copertina. Ebbene, in questo panorama poche sono le voci sincere. Poche sono le voci che esprimono la vita e la fanno diventare altissima poesia. Ecco, io credo che ci sia un gran bisogno di riabilitare la vita nel verso. E credo che questo lei lo faccia benissimo attraverso una forma di onestà che non è cronaca sciatta degli accadimenti, ma indagine perseverata del tessuto umano che li accompagna.
Avrei molte cose da dirle, ma non voglio che questa lettera raggiunga lunghezze abnormi. Un paio però di pensieri a caldo, sì, terrei proprio a comunicarglieli (chissà se ho visto giusto).
Intanto, nei versi collocati nella prima sezione: “Cerco di invecchiare con passione / e eleganza a beneficio degli assenti…”. (Difficile leggere questi ed altri versi suoi senza avvertire un coinvolgimento potente, sincero). La posizione del poeta è quella di chi sopravvive agli affetti e di chi sceglie, con resistente consapevolezza, di vivere per i morti: per i suoi morti. Ciò non è solo, mi sembra, per continuare foscolianamente la loro memoria; ma per vederli ancora, fare ancora la loro esperienza in modo diverso, poiché essi sono ancora “qui”, “nell’aria”; insomma per continuare la vita insieme a loro: perché la sua vita continua la loro vita. E così riemergono i tratti somatici del padre nel suo volto; i tratti caratteriali della madre nel suo modo di fare; gli abiti del suocero e le sue abitudini (come quella di dare da bere agli assetati caprioli e cinghiali). Oggetti, o se vogliamo “dati”, che sono il segno della vita e del suo propagarsi, di un venir meno che non è annullamento ma slittamento su un piano “altro” che si esperisce con sensi diversi, più affinati e acuti (“rimasto qui / a vegliare sui fantasmi”; “un rifugio di vivi / che non piangono i morti / ma se li portano sempre sulla spalla”).
E poi: il tema religioso. È difficile toccare questo argomento senza cadere in luoghi comuni o, per altro verso, farlo sotto la guida di spinte ideologiche. Credo che in Residence Cielo (anche il titolo è significativo in quest’ottica) la questione emerga ancora una volta con i tratti che le sono più caratteristici, che sono quelli dell’onestà. Intanto perché ne vien fuori una radicatissima e forse ancestrale religione dei morti, come compagni e guide della vita di quaggiù e come persone in attesa di un incontro futuro. È ammirevole Sarà un posto quello, che si conclude con l’ipotesi sulla nostalgia di Dio che non si vede o si nasconde nella grandiosa grandinata. E in Mi preparo a rovistare con cura forse c’è la chiave per comprendere questa “fede”: non quella tramandata dall’ortodossia, ma la certezza di un incontro, di un ritrovarsi, di un’attesa che si compie e di cui ci si scusa, con un po’ di imbarazzo, per il ritardo. E che questo “viaggio” abbia soste piacevoli per un toast e una birra credo che, nella sua delicata semplicità, sia uno dei documenti di maggiore sensibilità e profondità della religione dell’uomo contemporaneo.
Mi fermo qui. Spero di non averla annoiata in questa domenica scura di pioviggine. Residence Cielo è un regalo prezioso, un cassetto – come aveva scritto da qualche parte il suo amico Ferruccio, poeta tra i miei più amati – pieno di ninnoli e segrete malìe. Grazie, grazie infinite. Organizzerò meglio in una recensione o altro i miei pensieri, che ho buttato qui in questa bottiglia con la speranza che li accolga per quello che sono: desiderio e gioia di amicizia.
Una stretta di mano, e perdoni la lunghezza.