Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a Cesenatico, ma da diversi anni vive a Acquarola sulle colline di Cesena. È stato uno dei redattori di «Sul Porto», la rivista di letteratura e politica che catturò negli anni Settanta l’attenzione e la collaborazione di poeti come Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni e Giudici. Nel 1981, con la raccolta Via dei Platani (Guanda). Nel 1989, è uscito il libro Poesie d’avventura. Nel 2004 ha pubblicato con Pequod la raccolta Giocavo all’ala e nel 2006 La rissa degli angeli. Nel 2012 ha pubblicato Terza copia del gelo presso le edizioni Italic Pequod e nel 2014 Hotel degli introvabili. Nel 2015 è uscito il racconto in prosa poetica Il collezionista di vetri (Italic arte) con fotografie di Daniele Ferroni e la plaquet notizie interferenze sibili edita dai Quaderni di Orfeo. Nel 2017 è uscita la silloge Prove del diluvio. Nel 2018 è uscita la silloge Residence Cielo. Nel 2019 esce la plaquette La paura dei tuoni con chine del pittore Silvano Barducci e introduzione di Mario Santagostini.
* * *
I
Mi accusano di avere conversazioni
clandestine con figure inesistenti
o scomparse da molti decenni
e vorrebbero rinchiudermi qui,
in questo posto sconosciuto
come se dovessi scontare
dei peccati o la colpa per un reato
che forse ho commesso soltanto in sogno.
Avrei bisogno di una donna sincera da amare
e che mi ami, trovare per strada un’anima buona
che mi aiuti o qualcuno disposto a credermi
se gli racconto che ho visto mio padre
arrancare a notte fonda nel nostro cortile
nella neve che gli arrivava fino alle ginocchia
e voleva che lo andassi a prendere, mi supplicava
chiedendo che lo portassi sulle spalle fino a casa.
Ci sarà un angelo caduto per sbaglio sulla terra,
un fuggiasco o un clandestino che venga fuori
dalla pioggia e mi ascolti qui dove comincia
non so se il silenzio o la bufera e mi sento
come un venditore abusivo di ombrelli?
*
II
Continuo a credere che quell’uomo seduto
sotto l’ombrellone di un caffè all’aperto
forse in via Dante, a Milano, sono io
mentre aspetto i due Giovanni e Vittorio
per un bitter Campari guardando la gente
che passeggia davanti alle vetrine. E’ sera
e non so come, ma ritorno sempre indietro
per paura di andare avanti, attraversare
le strisce pedonali, entrare nel tunnel
dove la strada svolta in chissà che altrove
e lì incrociare mio padre che chiede stupito:
“Dove vai con questo tempo? Tra poco piove”.
Oppure mia madre senza cappotto, sciarpa
e cappello che passa tremando di freddo.
Chissà dove sta andando e cosa pensa.
Anch’io sto incominciando a chiedermi
come finirà il mio viaggio, se incontrerò
i corpi che ho amato o non vedrò nessuno
se sarà stupendo o non ricorderò più niente.
*
III
Oggi nuvole stracciate da uno strano vento
che sembra tirare di taglio dall’ altrove
incoronano un sole che non riscalda
la deserta sponda sinistra del canale
dove mi incammino in giacca e cravatta
come dovessi presentarmi a un matrimonio.
Invece non vado da nessuna parte. Resto qui
ad aspettare non so se qualcuno o qualcosa
in eterno ritardo. Sul mento ho un fiocco
di ovatta macchiata di sangue rappreso:
mi sono tagliato questa mattina presto
mentre mi radevo e cantavo sottovoce
come mio padre. Forse lo immaginavo
sul punto di imbarcarsi su un’astronave
o ritornare a casa in sella a questo vento.
Di sicuro sembravo lui dentro lo specchio.
© Fotografia di Giorgio Crisafi