Riccardo Ielmini è nato a Varese nel 1973. E’ Dirigente scolastico. Sue poesie sono apparse sulle riviste «Atelier» e «Poesia». Ha pubblicato il volume di versi Il privilegio della vita (Borgomanero, Atelier, 2000). Nel 2011 ha vinto il Premio Chiara per la raccolta di racconti inedita, con il volume Belle speranze (Varese, Macchione, 2011).
Riccardo Ielmini
Tre inediti
Lyskamm, una lettera d’amore
Da qui, da un arcipelago di fogli
sparsi come la mappa del mio cuore,
scintilla il fuoco di queste parole,
amica mia, e nel caos il mio respiro
cerca l’impronta del tuo candore.
Tu sei qui, fantasma senza rimedio.
La tua grazia inquieta balugina
dal vapore di una tazza di tè,
e io mi fermo, trafugo all’assedio
delle urgenze quest’attimo solo tuo.
È l’ultima propaggine del giorno.
È un dicembre di favonio crudele.
È il mio inverno spogliato della neve.
Sei qui, e mille leghe lontanissima,
e ti scrivo, come il libro di un ritorno.
Cara, sei l’impronta dove la gioia
verticale scende dalla sua altezza
e si concreta in un cuore di carne,
sei pane bianco, sei azzima focaccia
che ciba la mia fame di pienezza,
e io qui cerco di afferrare il tuo sogno,
e io qui voglio trattenere il tuo volto
fra le mani, e dirti bambina antica,
tu con denti e labbra hai dissepolto
il continente della mia biografia,
e ti ho amato, morendo in ogni sogno,
sbigottito dallo strazio dei giorni,
straziato dal tuo corpo irraggiungibile,
svilito dalla scrittura che non basta,
non copre mille leghe, è sforzo inutile,
e ora resta pregarti il santo bene,
benché io lo sappia, che è il vuoto nero
per me, implorare questo desiderio,
di perderci come il bene più vero,
per trovarci in un artico di luce,
e qui, dove confesso al tuo fantasma
che non saranno nostri mai, i ricordi,
che finirà presto, o che è già finita
la tua visita nella V dei miei fiordi,
io ti recito una grande promessa:
ti terrò in braccio agli ultimi respiri
di questa grande avventura breve,
ti salirò sull’alto promontorio
del Lyskamm, dove sarai pura neve,
dove i venti saranno la tua voce,
e là, sull’apice della vertigine
tu sarai il candore, la beltà,
e io ti svelerò che questa lettera
strappata a un debito di fedeltà
è un addio, forse, e forse un arrivederci,
dopo gli altrove e le infinite strade
percorsi lungo rotte parallele,
dopo gli incroci falliti per giochi
odiosi degli dei, e losche sciarade
delle costellazioni imperturbabili,
e quando i miei giorni saranno prossimi
a un altro addio, su tutto ritornerà
questa lettera, l’unica memoria
resistente alla tormenta che sfarinerà
il benedetto giorno, e l’ora e i minuti
di questa mia suadente avventura,
e nostra, e tornerà il Lyskamm a tremarmi
le vene, e in quel momento sarai lì,
e di nuovo lontana mille leghe,
e sussulterai, come per abbracciarmi,
e alla tua inafferrabile distanza,
ti raggiungerà l’onda del ricordo
di questo mio arcipelago di fogli
sparsi, del vento crudele in questa stanza
dove pronuncio la parola amore
*
La Torbiera di Mombello
Amica mia, usciremo alla torbiera
in un mattino umido di novembre,
ci riconosceremo, come sempre,
il cuore in allarme, l’aria avventuriera.
Usciremo dal sonno di un dolore,
portando come un’arma il desiderio
di rivederci un’altra volta almeno,
sapere cos’è il rovescio di un amore.
Usciremo in una sfera inaudita,
la musica dei tuoi passi segreti
mentre sfiori felci, tife, equiseti,
il tuo sorriso da bambina antica.
Ti verrò incontro col piccolo scrigno
delle gioie: le foto dei bambini,
una manciata di versi, giri
di accordi a memoria, un grido benigno.
Mi verrai incontro, nel tuo timido amore,
con i tuoi appunti per il risveglio:
per trovare il cuore fare deserto,
sapere il vuoto per trovare il cuore.
E andremo allora sulla sponda amica,
le mani allacciate, i passi leggeri,
camminando i millenari sentieri
dove alla fine riaffiora la vita.
Lì troveremo l’antica piroga
riemersa da un tramestio sotterraneo
o deposta a volo dall’arcangelo,
lieve e forte nello scuro di mogano.
Oltre la prateria dei vapori
adagiati sull’acqua dello stagno,
al di là dell’orizzonte del canneto,
là porteremo i nostri tremori.
Di là, ci arriveranno come ombre
i segnali: lo zufolo di mio padre
su qualcosa di Bob Dylan, e l’odore
di fumo di foglie bruciate a novembre.
Sarà breve la traversata e leggera,
amica mia, l’ultimo capitolo,
o il primo, di una lunga fedeltà,
di una perseveranza avventuriera.
Di là, troveremo costellazioni
di mille destini e innamoramenti
già vissuti nell’altra esile vita
e di là divenuti incantamenti
perpetui, una perfetta memoria
del tempo, e troveremo anche noi due,
con tutta per intero la nostra storia,
pronta a diventare compiuta gioia.
*
Creatura lunare
Il più del tempo tendo l’orecchio
in attesa di notizie gelide.
Io lo so: arriveranno. Gli steli
piegati dal vento le precedono.
Arriveranno. E allora sarà
una benevola grazia il male
col suo carico di verità
sversato sulla mia vita fragile.
Come in quella poesia di Auden
zittire il tic tac degli orologi
gettarsi nella tigna che rode
ed entrare spogli nell’eterno.
Qualcuno già saggiato ritorna,
e se chiedo notizie del gelo
farfuglia con frase disadorna
che il male era tutto già scontato
nei giorni misurati di qua
dalla soglia, nei bui quotidiani,
nel grigio dei minimi atti umani
del mondo di incompiuta beltà.
Eppure non sbandiero la resa.
Arriverà, o forse è sempre stato
il male, forse: eppure se tendo
l’orecchio a mia fragile difesa
io so che nel mezzo dei dispacci
che annunciano disastro e rovine
una musica amica risuscita
memoria di amorose mattine
piene di mani, di occhi frementi,
e in quella memoria si rià
il tic tac degli orologi spenti
torna a battere il tempo del cuore,
io so che c’è un innamoramento
che resiste ai cambi di stagione,
un viso amato che ricompare
sulla scena del nostro sgomento,
c’è sempre una creatura lunare
che illumina l’ora dei sogni
che viene pulita a disarmare
il gelo annunciato sui miei giorni
Fotografia di proprietà dell’autore.