© Fotografia di Dino Ignani

Renzo Paris, “Poesie 1968 – 2022” (Elliot, 2023)

Nota di Michele Paladino

Renzo Paris è uno scrittore che più di ogni altro, dopo le architettate fantasie creative del ’68 e i violenti, carichi e idiosincratici sperimentalismi dell’avanguardia – fatti di assalti alle cattedrali liriche dei famuli ermetici antisociali e neoungarettiani demodé – ha saputo mostrare il carattere di un poeta sempre coerente all’irridente gioco burlesco. Votato alla spregiudicatezza sciancata dei suoi versi: dal tono sempre indocile e fatuo, volti al segno leggero e grave in sospensione tra il lugubre décor dei convulsi anni ’70 e la successiva disintegrazione della società politica del riflusso di fine Novecento. L’occasione per ritornare a questo poeta meta-neoteroi è data dalla pubblicazione dell’intima antologia Poesie 1968-2022, personale canzoniere capace di integrare l’intero percorso poetico di Paris. L’inserimento all’interno del libro di speciali testimonianze personali in forma di memoir pone il lettore davanti a un esodo diaristico che celebra la visione picara baudelairiana. Così, dopo essere entrati nell’universo mistagoico e ferale dello sciamano di se stesso, si attraversa il padiglione delle pose saldamente poggiate sulla tavolozza dei colori dell’amato Corbière. Il senso di questa poesia è nel soffio continuo del desiderio da saltimbanco, mai dissociato dalla pesanteur contemplativa che riecheggia in poesie dalla freddezza da humour nero surrealistico:

La prepotenza ha occhi strabici,
sanguigni, una voce scandita, acuminata,
dice “basta!”
tronfia nell’eco,
specchio soltanto a se stessa.

[…]

La prepotenza ha le frecce aguzze,
il sangue del cervo già macchia la sabbia,
schizza sul marmo, segna le piste dell’alba.

La poesia di Paris si cala nelle onde dei simboli letterari, i vagheggiamenti distesi di Chlebnikov seguono la guasconeria delle pariglie amorose di Paul-Jean Toulet, fino a diventare metafora di nugae catulliane che per limpidità ludica si calano nel segreto espressivo di uno stile ricco di molecole trovate nel fondo cubista di un Apollinaire. Da Album di famiglia, invece, la poesia sembra ammalarsi nella rigidità di una poesia fattasi saturnina, canagliesca, tradita da una società moderna che stinge ogni vero messaggio lirico. È qui che l’atteggiamento primitivo e stregonesco, depurato dal sedimento irrazionale (il Tibet del Fucino come paesaggio sublime) porta Paris a creare una poesia dalle implicazioni sensuali e lievitanti, quasi a fondersi con un ipotetico, diamo per improbabile, Bertolucci in contumacia da un affabile erotismo campestre:

Il vento dell’utopia è passato,
tutto è stato consumato.
In bicicletta mi avvio tra le colline
di una giusta delizia, dopo tante
croci. Vieni amore, sali sul sellino,
ti porterò tra praticelli acquosi
e fiori marsicani. Colmo il viso
di riso vorrò che traspaia e
bevo con te alla fonte dei pastori
le fresche parole della sera.
Resisteremo per molto? Dureremo?
Il sentiero è accidentato, ma ci sono
I ranuncoli gialli sul ciglio del
Fosso e l’erba medica già ci prepara
le verdi lenzuola. Facciamo barchetta
con i piedi sotto le tue natiche dolci.
Poi il gioco dei quattro cantoni
Ci vedrà scontarci, piangerci,
rotolarci. La bicicletta può certo aspettare.
Il nostro amore no?

 

Una poesia da modello all’ultima fase della poesia di Paris, fatta di cammino urbano dal lento pede e colloquio onesto nel fondo di contesto cittadino ed esprit magico-rituale della provincia. A questo tipo di poeta plebeo, dal sapore sabiano – “La poesia è tornata bambina” -, appartiene la dimensione conversativa, drammaturgica, di una “realtà, che mi inghiotte come una fornace con i suoi tizzoni ardenti”, di un Aprile che bordeggia il Pasolini friulano, di un carattere levantino e orientaleggiante che traspare con un delicato linguaggio da sapiente critico del costume sociale occidentale. La bellezza della poesia di Renzo Paris risiede nell’incontro fecondo e stratificato di un atto liberatorio che nega ogni alone arido, intellettuale, una clausola che alla poesia di oggi risulterà vuota di senso.

 

[…] Sono ancora lucido
e vispo ma non mi aspetto più niente.
Non ho fatto altro che rincorrere

la vita immaginandola, stravolgendola,
per ricomporla nell’ultimo scongiuro.

 

*        *        *

 

 

*        *        *

 

Renzo Paris è nato a Celano (AQ) nel 1944. Si è trasferito con la famiglia a Roma nel 1958, dove ha sempre vissuto. Ha raccolto le sue poesie in Album di famiglia (Guanda, 1990), Il fumo bianco (Elliot, 2013), Il mattino di domani (Elliot, 2017) e Magico respiro (Stampa 2009, 2021). Ha scritto La banda Apollinaire (Hacca, 2009) e ha raccontato la seconda scuola romana di poesia in La vita personale (Hacca, 2009). Ha tradotto e commentato per gli Oscar Mondadori Gli amori di Guillaume Apollinaire e Gli amori gialli di Tristan Corbière, mentre per TEA ha commentato Amori di Jacques Prévert. È autore di numerosi romanzi tradotti all’estero, tra i quali: Canisciolti (Guaraldi, 1973), Frecce avvelenate (Bompiani, 1974), la trilogia marsicana Ultimi dispacci della notte (Fazi, 1999), La croce tatuata (Fazi, 2005) e I ballatroni (Avagliano, 2007), a cui sono seguiti Alberto Moravia: Una vita controvoglia (Castelvecchi, 2013), Il fenicottero. Vita segreta di Ignazio Silone (Elliot, 2014), Pasolini. Ragazzo a vita (Elliot, 2015), Miss Rosselli (Neri Pozza, 2020) e Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo (Einaudi, 2022). Ha insegnato Letteratura francese nelle università di Salerno e di Viterbo. Collabora al «Venerdì di Repubblica», «il manifesto» e «il Fatto Quotidiano».

 

Michele Paladino è nato a Termoli nel 1993. Ha pubblicato nel 2021 Breviario delle aberrazioni (Fallone editore). Si occupa di critica letteraria.

 

 

© Fotografia di Dino Ignani