Sul limitare del cielo, / io, scintilla di un attimo, / canto l’infinito. / Guardo l’eterno / e prima di essere cenere / misuro da questo / la mia grandezza / e la mia miseria. / Infinite galassie, / origine e fine della creazione, / dimorano nella mente. / Intuisco mondi paralleli / di cui non so nulla. / Vedo la fatica dei padri, / le lotte e le sconfitte, / e so che tutto è avvenuto / perché io esistessi.
Andromeda di Renato Fiorito è ricerca poetica e passione scientifica, stupore per il creato e le sue creature, viaggio nell’universo e nell’umanità. Nelle pagine l’io del poeta racconta, osserva, interroga la meraviglia che si lascia interrogare, prende atto dell’uomo e della sua intelligenza che scova le leggi delle strutture gigantesche dei mondi; prende atto, pur tuttavia, dell’uomo come forza devastante della terra, massacratore, nel tempo e nei tempi, dei suoi simili, forza primitiva e barbara.
Un tascabile, questo lavoro di Fiorito, di appena 72 paginette, 1546 versi suddivisi in 14 capitoletti (o parti) i cui titoli esprimono ampiamente la ricchezza dei contenuti del poemetto: In principio, Galassie, Andromeda, La terra, L’origine della vita, Il Permiano, I primi uomini, In cerca di Dio, Le rivoluzioni, Le tragedie, Viaggi interstellari, Viaggi dell’anima, Il nostro eterno, Epilogo. Una narrazione poetica che ci riporta, in un certo senso, alla Teogonia esiodea e, quindi, al racconto della vita dell’universo così come è visto da Esiodo e al poema didascalico De rerum natura di Lucrezio. Modelli classici, lontani nel tempo, ma che non possono non essere richiamati alla memoria ogni qual volta vi è un tentativo, sia pure molto raro, di discorrere sulle vicende complesse e sempre arcane e, perché no, fantasiose, sulle origini e lo sviluppo del cosmo. Sono altresì pertinenti i richiami ad autori certamente più recenti, come ricorda Giuliano Ladolfi nella presentazione al pometto, da Dante “in ottica particolare”, a Leopardi del Canto notturno del pastore errante dell’Asia e della Ginestra, alla poesia che indaga l’universo di Pier Luigi Bacchini.
Ma chissà perché la lettura -la ripetuta lettura, in verità- del dettato poetico di Fiorito e la sua ansia di comprendere anche quello che non è comprensibile, di penetrare gli anfratti delle galassie come quelli dell’animo umano, mi riportano in mente il poemetto di Rocco Paternostro, Sette visioni (Lithos 2008). Lì non c’è il tentativo di ricostruire la visione degli universi noti e meno noti, ma pur tuttavia vi è l’affanno intenso per la conoscenza. Un canto, quello di Paternostro, che dai primordi dello spirito, attraverso miti, leggende, episodi storici, arriva fino ai nostri giorni, al nostro quotidiano intriso di sogni e realtà; poesia con forti accenni autobiografici, eppure cosmica, universale, senza spazio e senza tempo, dove il cielo e il mare si affacciano sul davanzale del mondo per scrutare visioni eteree e immagini indescrivibili. Vi è in Fiorito il tentativo, ora palese ora occulto, di svelare cosa c’è oltre il Nulla e che cosa è il Nulla; nel viaggio di Rocco Paternostro, il vissuto dell’umanità, la ricerca di una visione finale, uno svelamento di ombre, fino allo squarcio del settimo sigillo dell’Apocalisse di Giovanni, filo conduttore dell’intero poemetto. Forse tutto ciò non ha nulla a che vedere con la ricerca di Fiorito ma il fatto che i suoi versi mi richiamino altre suggestioni vuol dire che il detto e il non detto del poeta scava nel lettore e lascia tracce insperate. Forse ha ragione Pavese quando afferma che «leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra -che già viviamo- e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.» E ben si addice questo concetto al lavoro di Renato Fiorito, un tesoretto dal quale vibrano riflessioni filosofiche, teologiche, oltre che essere una scrupolosa ricerca scientifica sullo stato degli studi su questo nostro mondo del quale sappiamo tanto e così poco. Uno sguardo, certo rapido, essenziale, fugace, verso «questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intendere la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto» per citare Galileo Galilei.
Il poeta si affida alla poesia per esplorare lo sviluppo della materia universale, per tracciarne la storia, i percorsi, le vittorie e le sconfitte; osservare le galassie e il loro formarsi, e quindi, in questo vasto cosmo concentrare lo sguardo verso la Terra, pulviscolo tra i pulviscoli, eppure abitato da uomini e animali, e quindi ancora, il perpetuarsi del viaggio fino alla ricostruzione della storia dell’umanità, nonché del soggetto uomo, capolavoro e nefandezza. Compito ambizioso, impossibile tra l’altro comprimerlo in una manciata di versi. Ma tutto ciò non è un limite: è questa la sfida del poeta, sia pure per cenni raccontare l’avventura più grande, incunearsi tra materia inerte e materia vivente. Al poeta basta far vibrare la corda del lettore perché possa poi proseguire da solo. Lo fa con passione, amore verso tutto e tutti, ma accogliendo le conoscenze maturate negli anni dagli scienziati. Addirittura riferisce dove ha ulteriormente attinto le nozioni scientifiche che lo hanno aiutato ad arricchire il suo sapere.
Ma perché il poeta si aggroviglia in queste tematiche? Cosa lo spinge ad occuparsi di energia, quark, fotone, elettrone, protone, sequenze di DNA, ameba, pseudopodi, cellule, batteri, gameti, genoma e altre amenità del genere? Ma cosa può interessare allo scienziato, che si occupa di materia e antimateria, buchi neri e bosone di Higgs, che esplora davvero il mondo che ci circonda e anche quello inimmaginabile da noi poveri esseri illusi di possedere chissà che cosa, degli spasmi e delle turbolenze del poeta? Forse perché l’uomo è scienza e incoscienza, materia e spirito, ragione e filosofia. E se tutto ciò non dovesse bastare, giunge la fantasia che colora spazi vuoti e zone grigie.
La scienza ha compiuto enormi passi, la conoscenza si è ampliata moltissimo, eppure il nostro sapere è concentrato in poche gocce sparse in un oceano di ignoranza. In una parola: gli spazi della nostra ignoranza apparentemente si restringono ma, in fondo, a ogni domanda, che riceve una risposta, altre mille se ne affacciano; bisogna fronteggiare tanti nuovi perché. Il viaggio dentro l’universo, per quanto possa sembrare partito da lontano (si ricordi il Sidereus Nuncius del 1610 di Galileo Galilei), è solo agli inizi; il futuro è tutto da scrivere. Tonelli pensa a «una nuova generazione di giovani scienziati: menti fresche, ardite, desiderose di dimostrare al mondo che possono riuscire laddove tutte le generazioni precedenti hanno fallito.» In fondo il libro è dedicato soprattutto a loro. «Mi auguro soltanto -conclude il suo prezioso lavoro lo scienziato- che la lettura di questo libro possa avere ispirato a qualcuno di queste ragazze e ragazzi la voglia di intraprendere un’avventura che potrebbe cambiare per sempre la loro vita e, forse, quella di tutti noi.» E aggiunge: «Se inseguite un sogno, non date retta a chi cerca di frenarvi, anche se fosse il fisico più autorevole del mondo: andate dove vi porta la vostra passione; forse non riuscirete a realizzare il vostro sogno ma, di sicuro, non ve ne pentirete.» I giovani esploratori si facciano avanti, dunque, non saranno mai soli, i pazzi e i poeti saranno sempre con loro. È, quindi, la scienza che invoca la poesia, perché senza utopie, sogni, passioni, scavi interiori, nessun obiettivo può essere raggiunto. Renato Fiorito poeta è affascinato dalla conoscenza e si interroga sulle non conoscenze, su quel mistero impenetrabile che è l’uomo, essere pensante e eternamente esploratore, e lo fa con l’entusiasmo del giovane esploratore.