Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna letteratura americana all’Università degli studi di Milano. Ha pubblicato case | spogliamenti (Aragno 2016), In quota (Interlinea 2012), La memoria del corpo (Crocetti 2007), Addio al decoro (LietoColle 2006), L’acero rosso
(Crocetti 2002), le plaquette Spiazzi dell’acqua e Ascesa (pulcinoelefante 2008 e 2018), e Avola (Volo) (Luciano Ragozzino 2019), le sillogi Conoscenza della neve («Poesia», gennaio 2012) e Transiti (Almanacco dello Specchio Mondadori 2009), oltre a una silloge di poesie sulla
montagna (premio Benedetto Croce 2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. La sua poesia è stata tradotta in inglese, spagnolo, portoghese e polacco. Una plaquette è stata pubblicata negli Stati Uniti a cura di Lawrence Venuti (houses | stripped, Toad Press 2018).
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cara Mari,
è il giorno dei morti
e tu ormai, di fatto, potresti
considerarti tale
visto che non sei più tornata
e neanche riapparsa
da qualche parte
nota, nota ad altri, o ignota
non ti ho più pensata
si direbbe in un certo senso
inaccurato
perché ti ho pensata, a volte,
(quante!)
ma non sufficientemente
non abbastanza per dire
di essere stata
con te
di avere continuato
a stare con te
ti ho lasciata
andare dove sei
voluta (o dovuta?)
finire, si potrebbe dire,
oppure
che ti ho rimossa,
come si dice,
dalla mia coscienza
non per sopravvivere
(si sopravvive meglio con i morti)
ma per stoltezza di vita:
perché anch’io ho cominciato
a morire
e in modo molto meno
significativo
cara Mari
sarebbe ora
cominciassi a pensarmi
un po’ tu
(a tenermi un po’ in vita)
per lo meno il necessario
a farmi bene
finire
*
caro padre,
quando gli occhi ti si allargano
di meraviglia al primo sguardo
a settantasette anni
sulle cose che sempre sono state
davanti agli occhi che
non vedevano
caro padre quando dici sì
che va tutto bene
basta che cessi il male
o il pentimento per il male
e l’angoscia per tutto questo dolore
(di ora e di allora
è la stessa cosa)
caro padre quando
il mondo viene eliso
nello spazio dell’attesa
di un domani leggero
concepibile
come un ricominciamento
così vicino alla fine
caro padre quando
senti il mio abbraccio più certo
a cinquantuno anni dopo
gli otto o dodici che soli ti ricordi
in mezzo il vuoto pieno
di parole amare e silenzi feroci
caro padre che scopri il mondo
come avrebbe potuto essere
(che c’era e hai negato
fino a diventare inerme)
caro padre che porti le cose
con la fiducia dell’amore
per un breve tratto
tanto umano e presente
che vale la pena finalmente
vivere e vivere
insieme
(per non morire
adesso)
*
Sei quieta e contenta
come non sei mai stata
alla fine della vita.
Dici tanti di quei Sì
tutti convinti e compresi
per dire che sei giunta
alla meta, e non ti spiace.
Hai i movimenti misurati ed essenziali
degli anziani, che non hanno più nulla
da sprecare e più nulla da investire.
Ti aggiri nell’orto
ti inchini alle colture
alle erbe alle piante ai fiori
per prendertene cura
come speri qualcuno
stia facendo con te.
Guardi vicino e vedi
così tanto oltre. Oltre
questo caco, questo fico,
queste ortensie e questi gigli
oltre la salvia e l’erba cipollina
la canasta e i grasselli
la melissa e i mughetti
le felci ancora attorte
e l’alto lauro che separa,
finalmente, dal male
che hai accolto
con fede e con dolore
per serbarlo nel cuore,
farne concime.
Sei come quando sono
aggrappata alla roccia, in alto,
e sto patendo, ma la roccia mi porta
leggera e mi dice che non è
un patire: è un amare.
Sono forse i tuoi capelli
poco bianchi o è forse la tua pelle
così fresca a tradire la tua età
per una ragazzina che in valle
circolava con le treccine e il broncio,
in bianco e nero, sfumato seppia.
© Fotografia tratta da Poetry Therapy Italia