Marianne Moore, solida come baluardo contro il fato

Nota e traduzioni a cura di Sarah Talita Silvestri

A cura di Sarah Talita Silvestri

Marianne Moore è una delle voci più innovative della poesia americana del XX secolo, tra quelle che, come dice T. S. Eliot nella prefazione ai Selected poems (Londra 1935), «hanno reso qualche servigio alla lingua» e che per questa stessa ragione è entrata nella schiera de Gli Imperdonabili, i visionari intransigenti di Cristina Campo, che vengono lodati per «l’ardua e meravigliosa perfezione, questa divina ingiuria da venerare nella natura, da toccare nell’arte, da inventare gloriosamente nel quotidiano contegno». È una donna del Sud, nata pochi mesi prima del poeta di La terra desolata a Kirkwood, nel Missouri, il 15 novembre 1887. Cresciuta nella casa parrocchiale della chiesa presbiteriana del nonno materno, si trasferisce a New York con la madre nel 1918, inizialmente nel quartiere bohemienne del Greenwich Village, dove incontra artisti e poeti, entrando così nella scena letteraria newyorkese, che la vede tra il 1925 e il 1929 editrice dell’importante rivista letteraria «The Dial». Conosciuta inizialmente solo nei circoli letterari poetici, diventa a partire dagli anni ’50 un personaggio popolare, abbigliata con mantello nero e cappello a tricorno alla George Washington, viene conosciuta come la poetessa eccentrica che scrive anche di baseball e che rilascia interviste e scrive di moda, cinema e sport. Già nel 1918 Pound in una lettera le risponde di non poter pubblicare le sue poesie senza il dovuto compenso, necessario per l’imponente levatura dei suoi scritti. Amata dai grandi poeti modernisti che riconoscono alla sua poesia la grandezza di tutte le cose che durano nel tempo e apprezzata per la peculiare individualità dai molteplici interessi, Moore è una donna dai grandi valori spirituali e morali messi al servizio di una visione pluralista che predilige la contraddizione. Dopo la prima raccolta del 1924, Observations, cruciale nel 1935 sarà la pubblicazione anche a Londra dei Selected Poems con Indroduzione di T. S. Eliot, che scrive: «Lo sbalordimento che nasce dal tentativo di seguire un occhio così acuto, un processo d’associazione così agile e rapido, può produrre l’effetto di certa poesia “metafisica». L’eleganza che la contraddistingue, la danza degli schemi rigidi e complessi delle sue strofe sillabiche si mescolano alla ricerca incessante per il minuzioso particolare, per la parola esatta, scientifica, da biologa erudita quale essa è. Il linguaggio fecondo da naturalista, gli animali esotici, i continui rimandi ai testi biblici e il talento per le metafore sono elementi della sua sensibilità originale e della sua intelligenza alacre che caratterizzano una donna-baluardo di principi quali l’umiltà, la discrezione, il silenzio. Complessa e criptica, ironica e tagliente come la definisce W. H. Auden in una recensione alla raccolta Nevertheless del 1944, dalla quale è tratta una poesia qui tradotta, Marianne Moore ha il grande merito di riuscire a far vedere attraverso i suoi occhi e di far percepire al lettore l’estasi che solo le giuste parole con la giusta disposizione sanno miracolosamente elargire. Sempre nella medesima recensione il poeta di York sottolinea la rarità di un’arte capace di incantare e che utilizza gli animali come strumenti di precisione e le citazioni non canoniche per dire ciò che già qualcuno ha espresso, riconoscendone valore. Cosi Auden conclude la sua analisi: «Le poesie di Marianne Moore sono un esempio d’arte non troppo frequente; ci incantano non solo perché sono intelligenti, appassionate, meravigliosamente scritte, ma anche perché sentiamo che scaturiscono da una persona profondamente buona». Marianne Moore indubbiamente sapeva che la vera poesia abita nell’ascesi, in quella liturgia della parola fatta di austerità e intimità, lontano dallo strepitio e dal clamore che accompagnano l’ambizione priva dell’intelligenza: «Il sentire più profondo si manifesta sempre nel silenzio; /non nel silenzio, nella discrezione».

Bibliografia

Marianne Moore, Complete Poems, Londra 1968.
Marianne Moore, Il basilisco piumato – Tutte le poesie, vol. I, Rusconi Editore 1972.
Marianne Moore, Come una fortezza – Tutte le poesie, vol. II, Rusconi Editore 1974.
Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi 1987.
Paola Nardi, Marianne Moore. La poesia dello spazio, Artemide 2007.

Photograph by George Platt Lynes (1907-1955)

LA MENTE È MIRABILE

da Nevertheless (1944)

Mirabile
come la brina
sull’ala della locusta
frantumata dal sole
finché la trama non diventi legione.
Come Gieseking che suona Scarlatti;
come il punteruolo dell’apterix
come un becco o
il piumaggio setoso impermeabile
del kiwi, la mente
che saggia il cammino come un cieco,
lo percorre con lo sguardo basso.
Ha l’udito della memoria
che sa ascoltare senza
dover sentire.
Come la caduta del giroscopio,
così lampante
in quanto verità per la certezza sovrana,
potere
di forte sortilegio.
Come il collo della colomba infiammato
dal sole; occhio della memoria;
è incoerenza coscienziosa.
Estirpa il velo; rovescia
la tentazione, la
foschia indossa il cuore
che ha un volto; demolisce
lo scoramento. È fuoco iridescente
sul collo dei colombi; nelle
contraddizioni
di Scarlatti.
Senza smarrirsi sottopone
alla prova il suo caos; non
come la bestemmia di Erode
che non può mutare.

THE MIND IS AN ENCHANTING THING

is an enchanted thing
like the glaze on a
katydid-wing
subdivided by sun
till the nettings are legion.
Like Gieseking playing Scarlatti;
like the apteryx-awl
as a beak, or the
kiwi’s rain-shawl
of haired feathers, the mind
feeling its way as though blind,
walks along with its eyes on the ground.
It has memory’s ear
that can hear without
having to hear.
Like the gyroscope’s fall,
truly unequivocal
because trued by regnant certainty,
it is a power of
strong enchantment. It
is like the doveneck animated by
sun; it is memory’s eye;
it’s conscientious inconsistency.
It tears off the veil; tears
the temptation, the
mist the heart wears,
from its eyes-if the heart
has a face; it takes apart
dejection. It’s fire in the dove-neck’s
iridescence; in the
inconsistencies
of Scarlatti.
Unconfusion submits
its confusion to proof; it’s
not a Herod’s oath that cannot change.

***

SOLE

da Tell me, Tell me (1966)

Speranza e terrore si accostano al film
“Nessun uomo può nascondersi
dalla Morte senza occhi”;
per noi, questa scomoda verità non è abbastanza.
Non sei né uomo né donna, ma un piano
ingoiato dentro il cuore dell’uomo.
Sei giunto spendente di fulgore, Sole, dalla tua dimora araba,
un ardente topazio estinto nel palmo di un principe grandioso
che cavalcava innanzi; sei sfuggito
crivellando la sua schiera.

o Sole, sosterai
con noi; solennità,
furia che consuma, cinto da un congegno
di magnificenza moresca, tondi calici torniti
alla vampa come gli emisferi di una
immensa clessidra che si assottiglia in stelo.  Divora l’inimicizia;
armati in questa assemblea di incessante ostilità!
O Sole, i piedi degli insorti non saranno
più veloci di fiamme figliate.

SUN

Hope and Fear accost film
“No man may him hyde
From Deth holow-eyed”;
For us, this inconvement truth does not suffice.
You are not male or female, but a plan
deep-set within the heart of man.
Splendid with splendor hid you come, from your Arab abode,
a fiery topaz smothered in the hand of a great prince who rode
before you, Sun-whom you outran,
piercing his caravan.

o Sun, you shall stay
with us; holiday,
consuming wrath, be wound in a device
of Moorish gorgeousness, round glasses spun
to flame as hemispheres of one
great hour-glass dwindling to a stem. Consume hostility;
employ your weapon in this meeting-place of surging enmity!
Insurgent feet shall not outrun
multiplied flames, o Sun.