Lucrezia Lombardo nasce ad Arezzo nel 1987. Dopo la maturità classica si laurea in Scienze filosofiche a Firenze con il massimo dei voti. Lavora quindi come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea e come giornalista, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento e con un master in gestione dei beni culturali. Attualmente l’autrice scrive per alcune riviste letterarie internazionali, insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea, oltre ad aver conseguito una specializzazione triennale come Counselor psicologico a indirizzo psicobiologico. Dal 2020 Lombardo è co-direttrice e curatrice della galleria d’arte contemporanea “Ambigua” di Arezzo e si occupa di poesia da diversi anni, sia come autrice, che come redattrice (collabora infatti per la rivista letteraria italo-francese “La Bibliothèque Italienne” ed è responsabile del blog culturale del quotidiano ArezzoNotizie). Le sue raccolte poetiche: La Visita (Giulio Perrone 2017), La Nevicata (Castelvecchi 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica 2018), Apologia della sorte (Transeuropa 2019), In un metro quadro (Nulla Die 2020), Amor Mundi (Eretica 2021), con prefazione del poeta e regista Mauro Macario.
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Il volto nascosto della vita
Dalle pareti ho sbirciato
il risplendere riflesso dei mattini.
Erano le cose accese
prima ancora che la vista si posasse
sul loro spessore.
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Strade bianche
Ci ha lasciato il tempo
tra le nude prospettive del sud.
Nella sua terra arsa,
tra i muri a secco e le vipere indolenti,
il candore s’ abbatte sulle cose e
porta una serenità d’infanzia.
Gli anziani immobili,
come le loro case di pietra,
attendono la vita altrui che li visiti
e tutto è spoglio, secolare,
al pari d’un sogno scosceso e
mai esistito.
Vivevano di nulla e di sole.
*
Cenere
E ciecamente
al pari del mio desiderio
era sbucato il sole dalla scoscesa costa
e s’inabissava la mente
ch’era tutt’uno con la materia
dei fondali implacabili.
La mia immagine riflessa
scompariva tra le correnti
come l’andare furioso della vita
che divora se stessa
per sete di nuovi inizi.
Era amaro il ricordo
di quei luoghi entro cui
avevo costruito una memoria
di pareti e palafitte.
Tutto si spense nell’abbaglio,
venne cancellata l’oscurità-
il mistero s’era disciolto e come cenere leggera
era evaporato dalle ciglia serrate dei miei occhi.
Tutto vorticava come in un parto
che ricombina le sostanze-
fui rigettata dalle onde
su una riva deserta,
viva d’una vita ch’è pura incoscienza:
era il vuoto
il vero padrone del mio terrore
e della mia meraviglia
e mi faceva credere ad ogni speranza
al pari d’un infante.