Jorge Aulicino
Mar di Chukotka (inedito):
traduzione dallo spagnolo argentino di Antonio Nazzaro
[Mito VII: El hielo]
Sólo mi mano tendida hacía ti, doctor Frankenstein,
cuero pálido, un pedazo de papiro sin musgo ni río,
mi mano, una torpe posibilidad, una tormenta apagada,
bruma ocre o un gallo muerto en la grisura de un invierno, en el barro.
Expiraste en los camarotes de Walton y exististe, si exististe,
en lugares así, sentinas, corredores, túneles, el ático, los techos
a los que subiste a buscar el rayo. No tu sonrisa respetada,
tus amables gestos, tu labia. Un fantasma fuiste
y fuiste nada, y me hiciste de pedazos, como son todos los hombres,
de ciudades al garete, de la Atlántida, de un naufragio,
de alcantarillas y ratas, me hiciste como Robinson su casa,
con restos, con el azar de los pedazos.
Te traje hasta el polo con un reguero de sangre, crucé Europa, la vi hundirse,
para que vieras que si Dios ríe en algún lado, ríe aquí, como lo vio London,
en el inmenso hielo, donde las figuras desparecen, donde la bruma hace probable
que tú seas una sombra y yo la sombra de una sombra. Y nunca nadie
haya sido nada, sino gotas sobre una hoja, sino ojos vistos en el mar.
[Mito VII: Il ghiaccio]
Solo la mia mano tesa verso di te, dottor Frankenstein,
cuoio pallido, un pezzo di papiro senza muschio né fiume,
la mia mano, una goffa possibilità, un temporale spento,
bruma ocra o un gallo morto nel grigiore di un inverno, nel fango.
Spirasti nelle cabine di Walton e sei esistito, sì sei esistito,
in luoghi così, sentine ,corridoi, tunnel, nell’attico, nei tetti
su cui sei salito per cercare il fulmine. Non il tuo sorriso rispettato,
i tuoi amabili modi, il tuo parlare. Un fantasma sei stato
e sei stato nulla, e mi hai fatto di pezzi, come sono tutti gli uomini,
dalle città alla deriva, da Atlantide, da un naufragio,
dai tombini e ratti, mi hai fatto come Robinson la sua casa,
con resti, con l’azzardo dei pezzi.
Ti ho portato fino al polo con una scia di sangue, ho attraversato l’Europa, l’ho vista affondare,
perché vedessi che se Dio ride da qualche parte, ride qui, come lo vide London,
nell’immenso gelo, dove le figure spariscono, dove la bruma fa probabile
che tu sia un’ombra ed io l’ombra di un’ombra. E giammai nessuno
è stato nulla, se non gocce su una foglia, se non occhi visti nel mare.
*
[Aristóteles]
Un cálculo infinitesimal es siempre un cálculo.
Destilado a través de una red capilar
de pensamiento, de alambiques dorados,
construye un pensamiento que es una ciudad.
Y la ciudad es pensamiento y cálculo:
una cuarta parte herreros y artesanos,
un octavo comerciantes,
dos cuartas partes magistrados y soldados;
muy poco, pero decisivo porcentaje
de filósofos y aedos, porque es este el alimento
del líquido amniótico que nos contendrá cívicamente
y en el que nos moveremos como peces.
Es, en efecto y de esta guisa, útero la ciudad.
Nunca así seremos extranjeros.
Tolle, legge. Cf. Política: muchacho,
con diez mil a lo sumo
el dispositivo del Estado funcionará
como un sistema de pesas y poleas.
Preveo, sí, el barro del Támesis, los cadáveres del Destripador,
-un destripador aristotélico, si cabe, un lector de Política-,
las favelas de Río de Janeiro, las Fábricas de Muerte del Reich,
los telares animistas del Sudeste Asiático, los decapitados
en la frontera de México… Para, stop.
En medio de ello, también Marx verá sus esferas,
su aparato delicado que se desarma
y arma sin perder aceite ni agua,
y es, aun de sangre manchado, ecuánime:
bitácora en el helado norte, en la caótica selva eslava.
[Aristóteles]
Un calcolo infinitesimale è sempre un calcolo.
Distillato attraverso una rete capillare
del pensiero, da alambicchi dorati,
costruisce un pensiero che è una città.
E la città è pensiero e calcolo:
una quarta parte fabbri e artigiani,
un ottavo commercianti
due quarte parti magistrati e soldati;
molto piccola, ma decisiva la percentuale
di filosofi e aedi, perché questo è l’alimento
del liquido amniotico che ci conterrà civilmente
e in lui che ci muoveremo come pesci.
E’, in conseguenza e in questa guisa, un utero la città.
Così non saremo mai stranieri.
Tolle, legge. Cf. Politica: ragazzo,
con diecimila al massimo
il dispositivo dello Stato funzionerà
come un sistema di pesi e pulegge.
Prevedo, sì, il fango del Tamigi, i cadaveri dello Squartatore,
-uno squartatore aristotelico, si può dire, un lettore della Politica-
le favelas di Rio de Janeiro, le Fabbriche della Morte del reich,
i telai animisti del Sud est Asiatico, i decapitati
alla frontiera del Messico…Fermati, stop.
In mezzo a ciò, anche Marx vedrà le sue sfere,
il suo delicato meccanismo che si smonta
e monta senza perdere olio né acqua,
ed è, ancora di sangue macchiato, equanime:
giornale di bordo nel gelato nord, nella caotica foresta slava.
Antonio Nazzaro (Torino, 1963) è un giornalista, poeta e mediatore culturale italiano. Si è diplomato con la maturità classica a Torino e ancor prima di termibare gli studi inizia a collaborare con i quotidiani L’ora di Plaermo, La Stampa di Torino, Stampa Sera e con l’emittente televisiva Videouno. Trasferitori in Messico si diploma presso l’UNAM Università Autonoma del Messico. Attualmente vive a Caracas (Venezuela) dove è stato coordinatore didattico dell’Istituto Italiano di Cultura, assistente dell’attaché culturale in Venezuela e capo redattore de La Voce d’Italia. Nel 2008 diviene coordinatore del Centro Culturale Tina Modotti con lo scopo di promuovere la cultura italiana e venezualena attraverso varie forme di interscambio culturale. Da ottobre 2014 collabora inoltre alla redazione culturale della rivista Agorà Magazine di cui è stato uno dei fondatori.