Jan Jacob Slauerhoff “L’eterna imbarcazione” (Ensemble edizioni, 2019)
Traduzione di Patrizia Filia
Lettura di Ignazio Pappalardo
Jan Jacob Slauerhoff (1898-1936) è uno degli scrittori più importanti della letteratura olandese del Novecento. L’iniziativa di Edizioni Ensemble di pubblicare la raccolta di poesie L’eterna imbarcazione (2019, trad. it. di Patrizia Filia) a quasi un secolo dalla prematura scomparsa dell’autore, testimonia l’inossidabile attualità della sua poetica tardo romantica – quella fioritura tardiva di romanticismo in un’epoca positivista che in fondo non ha mai smesso di produrre nuovi frutti, fino ai giorni nostri. E l’eterna imbarcazione è proprio una metafora del tempo che passa lasciando inalterate le domande fondamentali della poesia; queste, infatti, restano sempre le stesse, nonostante le novità espressive che ogni nuovo secolo porta con sé:
Solo il perpetuo mutare non è cambiato
Come me, che d’allora innumerevoli navi
– Mai un giorno affondate, mai una notte ancorate –
Come una corrente di spiriti ho visto passare.
Vidi sgraziate caravelle, brigantini pesantemente costruiti
Lasciar posto alla snella, rapida veleggiante fregata,
E questa, come un uccello agonizzante, fuggire spaventata
Dal mostruoso battello a vapore, l’alta città galleggiante.
(Da «L’eterna imbarcazione», p. 73)
Jan Jacob Slauerhoff fu medico di bordo in numerosi viaggi transoceanici, e il mare, protagonista della sua vita avventurosa, è, in questa raccolta, simbolo eminente del senso di straniamento dell’uomo in un mondo sentito come lontano, ostile, nemico temuto eppure amato.
Cees Nooteboom, scrittore olandese candidato al Premio Nobel ha scritto recentemente di lui: «Lo spirito inquieto di Slauerhoff continua ad aleggiare, senza rivali, nella letteratura olandese».
La pace, pur desiderata da questo eterno spirito inquieto, è sempre lontana, al di là di un mare oscuro da cui il poeta si sente tuttavia attratto. Quasi che il senso di appartenenza tanto cercato possa trovarsi soltanto dopo un infinito navigare, su un’Isola Remota, sempre irraggiungibile, dove si infrangono onde non inquinate dalle coste degli uomini:
Verso il centro del più vasto mondo marino
Dimenticata alla deriva,
Straniata e altrettanto rapita lontano
Dai tre continenti,
Ancora è possibile sbarcare
Sull’Isola remota:
Le onde che le si frangono contro
Non hanno lambito altre coste
(Da «Rapanui», p. 22)
L’amore, pur bramato con struggimento, sta però proprio lungo quelle sicure città di costa, nella dimensione, sempre polemica e mai edulcorata, del rimpianto. Insieme alle altre convenzioni sociali, anche l’amore, la più dolce delle convenzioni, è accarezzato nei versi solo per essere respinto, con la nostalgia di ciò che non si conosce:
«Così è: sono fradicio, il mare si solleva,
Ti lasci accarezzare, languida, grave e arsa.
Te ne stai con le scarpette nella camera da letto,
Io con stivali da mare, l’acqua sul ponte».
(Da «Sentimental Journey», p. 24)
Lo spirito inquieto di Slauerhoff, insofferente alle convenzioni, sia poetiche che sociali, mai quanto oggi suona moderno, rispecchia la ricerca indomita, disperata d’avventura, di novità, dei nostri tempi tumultuosi.