© photo by Antonina Durda and Craft Magazine
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Iya Kiva, “La guerra è sempre seduta su tutte le sedie” (La Vita Felice, 2024)

Traduzione dall'ucraino di Yulia Chernyshova e Pina Piccolo

 

Iya Kiva è una poeta ucraina, traduttrice, membro di Pen Ukraine. Nata nel 1984 a Donetsk, si è trasferita a Kyiv nel 2014 a causa della guerra russo-ucraina. Autrice delle raccolte di poesie Подальше от рая (Più lontano dal paradiso, 2018), Перша сторінка зими (La prima pagina dell’inverno, 2019), Сміх згаслої ватри (La risata del falò estinto, 2023), nonché dei libri di interviste con autori bielorussi Ми прокинемось іншими: розмови з сучасними білоруськими письменниками про минуле, теперішнє і майбутнє Білорусі (Ci sveglieremo diversi: Conversazioni con scrittori bielorussi contemporanei su passato, presente e futuro della Bielorussia, 2021), dedicato alle proteste del 2020-2021 in Bielorussia. Le sue poesie sono state tradotte in oltre 30 lingue. Nel 2022, la sua raccolta di poesie Свидетел на безименност (Testimone dell’anonimia) è stata pubblicata in bulgaro (trad. Denis Olegov) e un’altra raccolta di poesie Чорні ружі часу/Czarne róże czasu (Le rose nere del tempo) è stata pubblicata in polacco (trad. Aneta Kaminska). Traduce poesia polacca e bielorussa; come traduttrice e redattrice di libri per l’infanzia dall’inglese collabora con il progetto “PJ Library” in Ucraina. Ha partecipato al programma Gaude Polonia Fellowship del Ministro della Cultura polacco (2021), è stata borsista dell’International Writing Program (2023, Usa) e altri. È entrata nella rosa dei candidati per il premio 2024 “Donne nelle arti: La resistenza” promosso dall’Ente delle Nazioni Unite Donne: Ucraina. Attualmente vive a Leopoli.

 

 

 

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il mio paese ora somiglia a un ghetto
dal perimetro circondato di sangue di grida di pianto
(storto e di fretta — come al buio si tracciano le labbra con un rossetto unto)
dove tutti i pensieri tutte le parole persino il silenzio sono soffocati dal cuscino della censura:
la guerra della guerra alla guerra dalla guerra nella guerra

(declinare questa unica parola — ancora e ancora e ancora una volta —
ora per gli scrittori ucraini questo è il lavoro del cuore)

la frontiera di questo ghetto è trasparente come il moto dei rondoni:
puoi entrarci uscirne ed entrarci di nuovo
è come infilare le dita nel guanto di un altro
puoi serrare le palpebre e giocare a nascondino con la guerra
sapendo in anticipo che (ti trufferà e) vincerà

ma tutti questi esercizi sono ginnastica per chi ha l’immaginazione invecchiata
il tuo corpo non lascia mai il luogo di residenza —
quel nulla bombardato all’infinito dalla furia —
e il tuo passaporto con quell’uccello dorato di tridente
ti consente di muoverti per il portone mezzo illuminato della storia
ma non ti dispensa dalla guerra nel tuo sangue nella tua urina nella saliva nelle lacrime

come Sisifo gli abitanti di questo ghetto rigirano la morte nella bocca
rompendo i denti e persino le loro radici

ma neppure a quel punto si fermano — muovono con la lingua ciò che è rimasto
anche se che cosa di preciso (e quanto ancora) sia rimasto nessuno lo sa

simile al buco della serratura è il tempo in questo ghetto — stare davanti e guardare
come la luce sfonda le porte del futuro raggricciandoci come un bruco —
un monumento alla stanchezza il diritto ad un lungo protrarsi un’inquietante tenacia
ma la spensieratezza di risate sincere non passa attraverso la toppa —
al massimo penetra come un’ombra come l’umorismo nero della memoria

nel ghetto c’è anche un fiume — non per annegare (anche se può capitare )
ma per guardare il cielo da tutte le rive

 

 

 

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magari potessi dirti che la terra qui non è cambiata affatto,
ma non sarebbe la verità, sarebbe una menzogna crudele e vana,
raccontata per placare la curiosità di un bambino

qui, gli alberi fanno solo finta di essere alberi, qui gli alberi crescono a stento,
e sollevano i rami, come se si stessero arrendendo
ai propri simili e agli altri e a questa fottuta epoca
dai cui germogli spuntano subito fiammiferi

e il fiume della vita arde così bene, s’inaridisce,
bruciando dalla vergogna di non poter più riempire
l’estate delle risate di bombi e l’inverno del miele della cura

così tanto la terra qui è invecchiata in un anno,
che, dove per secoli scorgevi bei lineamenti lisci dell’acqua
ora solo rughe profonde un palmo,
e talvolta accade anche di peggio, come se il sole
risplendesse capovolto, ma chi, di questi tempi, guarda ancora verso l’alto

tanto silente è il cielo, qui, lanciagli un coltello e vedrai che non si muove,
sopporterà che questo, inghiottendo in silenzio pugnale dopo pugnale,
lacerando a sangue le guance, come brandelli di abiti strappati
quando non proteggono più; sai, il malocchio

ti palpeggia da dentro come mani lascive in mezzo alla folla,
tranquillo, senza vergogna, con quel senso di crimine senza fretta,
arrivando fino al cuore; poi smette e tu continui a vivere;
ma in silenzio, senza cuore; senza speranza; in balia della fortuna

e ora anche la terra qui è senza più cuore, come terriccio in un museo,
stesa davanti a tutti, mezza morta, priva di sensi,
senza nemmeno il tempo di respirare una boccata d’aria che è già avvelenata —
e graffia e ringhia, come un vecchio cane che sta per morire

e tutto questo, sai, è così ingegnoso, che tutti hanno già imparato
a fingere di non sentire l’odore della propria decomposizione,
e ora la puzza è tale che puoi riconoscere i tuoi solo da questo fetore —
così orgogliosi, così avviliti, così spietatamente belli

la morte, sai, accresce sempre la bellezza; fino al riso convulso;
non è forse curioso percorrere la stessa strada per tutta la vita
per poi perdere te stesso al primo incrocio?

è mai possibile che sia così; ma non è stufa questa terra
di condurci bendati in girotondo, come giocando a mosca cieca;
ehi, tu, prova a indovinare dove cadrai e non potrai più rialzarti

tante brave persone qui, sai, ma tutte impantanate nel fango;
stipate; a braccia aperte; senza teste, così come capita

questa terra è come una cicatrice sul volto; tutti la vedono
ma manca il coraggio di chiedere che cosa sia successo;
la vita è troppo breve, sai, per scrutare la terra
specialmente quella altrui; vi è qualcosa di adultero

come se d’improvviso l’amore fosse diventato una lingua artificiale
che studiamo e studiamo e studiamo invano

volevo dirti che questa terra è poesia
e tu sai bene, forse meglio di me, quanti siano i suoi lettori.

 

 

 

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© Fotografia di Antonina Durda & Craft Magazine.