Mirea Borgia, “Ismi” (Il Convivio, 2024)

A cura di Giuseppe Manitta

“Ti voglio parlare dell’estremo morso”

 

Ci troviamo di fronte a un atto estetico, che consiste nello svelare e dissimulare il senso, nell’accostamento di un linguaggio letterario a uno estremamente basso e colloquiale, nel ticchettio dello scioglilingua che da un lato si associa agli ismi come ripetizione, dall’altro ne offre una
parodia. Gli ismi sono la rappresentazione tangibile della maniera, una coazione a ripetere di forme e contenuti. Se tutto oggi appare trito e ritrito, questa triturazione della parola e del senso e il loro ri-assemblamento non sono altro che manifestazione dell’impeto civile della poesia: la materializzazione del mattatoio sociale. Noi non sappiamo morire, si scrive, ma questa consapevolezza ammette anche un’altra verità: non sappiamo neanche vivere. La scrittura, dunque, è un atto di resistenza, ma anche un luogo di definizione e di non-remissione al consueto. (Giuseppe Manitta)

 

ti voglio parlare dell’estremo morso
e di ciò che resta della forma ‒ se resta ‒
nel tempo necessario a una cognizione

ci ostiniamo alla disobbedienza cieca
fino a quando un’occhiata all’occhio che rotea
pronuncia il nostro destino

vediamo in te la belva che ci consuma
(siamo tutti uno)
e ancora adesso beneficiamo della ferocia

‒ sei leggendaria ‒ soffiamo ad aria bassa
‒ eroica quasi erotica, la dolcezza del lasciarti andare

il dialogo si smorza

mi dici che il trucco è bramare con ripugnanza
ma tu perdi tempo e resti qui a contemplare

irretire l’armonia della fine
dilungarti nel noi che ti ingrassa

 

*

predicavamo il sogno, in riva
il simbolo aveva lasciato le vestigia
il mare e i morti a cancellare tutto

dio si era già confessato orfano

eppure, restavamo ancora dritti
‒ di umanità infine ‒ decretando
le norme della nostra visione

fine dell’umanità, primo punto
libera la rotazione di accelerarsi

 

*

 

la morte raccontava il movimento
che la vita non riusciva a comprendere

il sole a farci da esempio
‒ con le mille braccia adoranti ‒
si affermava per moltiplicato orgoglio

era in auge l’ossessione
quelli che ancora non erano mai-vecchi
scassavano di buio gli schermi

un rumore inatteso
un sibilo di piscio a candeggiare il bianco

non eravamo pronti per osteggiare i nuovi dei
gridavamo solo allo scandalo

 

*

resistiamo alla stagione secca
mentre il fiume pensa le ore a scorrere
e il divenire si scopre immobile

osserviamo
ma guardiamo altro

un ragno che cede la sua pigna
schiantata dall’alto
il tronco ustionato che spiega l’impatto

e ogni cosa appare contorta
perché non vegliamo

e ogni cosa si volta
lasciandoci come siamo
nati nudi lagnosi e sporchi
ad amare senza proferire
e divorare senza cacciare

perché l’incompreso sia comunque nostro

precoce nel dirci
che stiamo ingannando l’attesa
che la realtà si realizza sempre
che radunarci ci consola

da ISMI, Il Convivio Editore

La foto di Mirea Borgia è di proprietà dell’autrice

 

Nota Biobibliografica:

“Borgia mette in gioco l’istinto di sopravvivenza per combattere l’inquietudine”, così scrive Franco Manzoni sul “Corriere della Sera”, parlando della sua poesia, che indaga, attraverso dei moti filosofici e lirici, i meandri dell’Io in continuo dialogo con i risvolti civili. Nel 2019 è stata finalista al Premio Letterario Internazionale Città di Como. Nel 2020 ha pubblicato con Il Convivio Editore la raccolta di poesie “L’innocenza dell’ombra”, opera selezionata al Premio Camaiore e semifinalista al Premio Prestigiacomo. Nel 2022 ha pubblicato “Cronaca dell’abbandono”, libro con il quale è arrivata fra i cinque finalisti del Premio Letterario Forum Traiani, sezione poesia edita. Sue poesie sono state inserite nell’antologia “Pasti caldi giù all’ospizio. Antologia degli opposti” per Transeuropa Edizioni. Ha collaborato con le pagine culturali del quotidiano “Conquiste del lavoro”. Per la casa editrice Il Convivio ha fondato e dirige la collana di narrativa i dissidenti. Co-
dirige la collana di poesia Ormeggi. Vive in provincia di Roma.