© Fotografia di Luca Carrà

Gloxa VIII: Il Realismo Terminale di Oldani e l’alienazione contemporanea

A cura di Lucrezia Lombardo

Il Realismo Terminale di Oldani e l’alienazione contemporanea

 

L’uomo tende ad antropizzare tutto ciò che tocca. Come una sorta di demiurgo imperfetto, egli trasforma perennemente, creando un mondo di oggetti che imiti la creazione viva. Il paradosso per cui “la creatura” – di per sé gettata e “figlia” – gioca la parte del creatore, costituisce l’ossessione su cui si edifica la modernità, coronando l’inseguimento di tale sogno nell’era contemporanea.

Un’epoca virtuale e prossima a sostituire l’uomo con le intelligenze artificiali. È l’osservazione di tale stato di cose, che ha spinto il poeta Guido Oldani a dare forma a un movimento – denominato “Realismo Terminale” – che intercettasse ed esprimesse l’odierna tendenza alla reificazione coatta.

In tal senso -a parere del poeta- non sono gli oggetti che imitano la natura, bensì quest’ultima che assume la forma di un macro-supermercato brulicante, consumisticamente, di merci. È questo -del resto- uno dei temi principali della riflessione filosofica novecentesca, a partire dai contributi di Heidegger, Adorno e Anders, tutti e tre critici nei confronti della reificazione del vivente, come già Marx, nel XIX secolo, aveva presagito.

Tant’è che la critica marxiana al sistema capitalistico si basava proprio sulla questione del dominio che l’uomo impone alla natura e sul processo di alienazione derivante dalla catena di montaggio. E se oggi il mondo è una fabbrica estesa -una fabbrica che divora e fagocita ogni ambito vivente- la poesia è chiamata ad incarnare e cantare lo spirito tragico di un tempo scisso e ipertecnologico.

Il termine “realismo” rimanda infatti alla necessità che vi sia un’aderenza tra il linguaggio e la realtà (intesa come succedersi di eventi storicamente e culturalmente contestualizzati), mentre l’aggettivo “terminale” allude al collasso -ormai prossimo- del vivente, in quanto è in atto la definitiva trasformazione dell’esistente in cosa.

La poetica di Oldani si caratterizza, dunque, per il costante utilizzo di analogie, in cui il vivente è di continuo paragonato all’universo oggettuale e ciò che ne deriva è una specie di soffocamento. Intenzionalmente attento alle piccole cose che popolano il quotidiano, Oldani recupera, in parte, una poetica tradizionale capace di volgere lo sguardo agli eventi insignificanti, sino a farne i protagonisti di liriche strutturate. La concretezza penetra, così, nelle strofe, coerentemente con quanto già Sereni e Raboni hanno fatto, in opposizione ad un poetare intellettualistico e astratto di “scuola toscana”.

Scrive infatti Oldani, nella lirica “Solo”, intessendo un dialogo interiore con un vecchio, il cui volto assomiglia a una suola usurata e a del pane secco:

 

“Sembra una suola che si stia scollando,
il sorriso del vecchio senza denti
o è un pianto con gli stessi sentimenti.
E non ricorda più se è maschio o donna
e la sua pelle gialla è pane secco
e per non esser solo nel dolore
si guarda nello specchio mentre muore”.

 

L’io poetante osserva l’accadere dal di fuori e poi riconduce a sé i piccoli eventi in cui s’imbatte, inquadrandoli all’interno di un sistema di paragoni e rimandi, in cui dominano intenzionalmente gli oggetti. Il risultato di un tale gioco di analogie è un senso di straniamento, volutamente prodotto dal poeta, che intende analizzare e cantare l’angoscia della condizione contemporanea, in cui l’umanità ha perduto completamente il senso di se stessa, in favore di un’esteriorizzazione coatta e compulsiva.

Un’esteriorizzazione che, conformemente alle leggi del capitale, cela, forse, la paura incontenibile della fragilità e della morte, ragion per cui il nostro tempo non fa che produrre merci-feticci e modelli-feticci. La stessa realtà virtuale, in tal senso, non è che un feticcio, il surrogato di una realtà materiale divenuta ormai invivibile. La poesia si fa, perciò, chiave di lettura e di decifrazione dell’uomo contemporaneo, che Oldani racconta spietatamente senza risparmiare sul sentimento di orrore che ci pervade e che, spesso, le sue liriche comunicano.

E se “l’arte povera” e “la poesia povera”, da principio, hanno scelto la concretezza come tema privilegiato per restituire l’uomo all’universo carnale in cui si trova in questo mondo, con il “Realismo terminale”, invece, quella stessa concretezza divine un grido di angoscia incapace di generare armonia e che richiama, in tutto e per tutto, il volto ritratto da Munch ne “L’urlo”.

Lucrezia Lombardo

 

 

© Fotografia di Luca Carrà