Ma qui la morta poesì resurga.
Dante, Purg. I, 7
I poeti sono specchi delle gigantesche ombre
che l’avvenire getta sul presente… Forza che
non è mossa ma che muove. I poeti
sono i non riconosciuti legislatori del mondo.
Percy B. Shelley
Destati, anima mia,
destati, arpa e lira,
voglio destare l’aurora.
Salmo 57 (56)
In tempi di solitudine e soffocante vaniloquio, di disaffezione e convulse trasformazioni, la nascita di una rivista letteraria è insieme epilogo ed assunto, coinvolgimento nell’agonia di un ormai spento orizzonte poetico, ovvero di una determinata apertura di linguaggio sul magma dell’esistenza, e progetto (necessità, scommessa, urgenza) di una nuova, cioè rinnovata, modalità di chiedere sensatezza al mondo per il tramite della parola. Si tratta di una risposta negativa, ma consapevole e sofferta, alla presunta morte della poesia, nella convinzione che muore una precisa pratica poetica per lasciar spazio ad una differente coscienza creativa, tale da permettere la traduzione in for-me inedite delle istanze che muovono da sempre una tradizione.
Il nostro appello è progetto di un luogo di ricerca e cernita, contro lo spreco verbale, un luogo di ascolto e sintesi nella deriva dei linguaggi. Niente di astratto: cerchiamo, in questo tempo disumano, voci di umanità, parole che siano schegge penetranti, testimonianze di un passaggio memorabile. C’è una fame repressa e incompresa di poesia, mossa da una fame immane di umanità: chi affonda lo sguardo nella miseria occultata dal delirio, chi attraversa i luoghi in cui si mercanteggia la parola e la poesia si tradisce – premi, riviste, Case Editrici, giornali…-, non può non sentirla. Non proponiamo alcuna fuga verso un’apollinea terra promessa, perché uno stile, il particolare angolo di incidenza sul mondo dato alla parola, è sempre un’ipotesi di civiltà. E anche l’ironia e la finzione sono accessi “altri” al dramma della storia.
Non abbiamo la supponenza di crederci originali; sappiamo che l’originalità è fedeltà al destino di una tradizione. Sentiamo semplicemente la necessità di iniziare un lavoro, perché «chi non sceglie una tradizione si limita a subirla» (Fortini) e il destino non è un fatto personale (poesia come espressione di sé, chiusa concupiscenza), ma un orizzonte di significanza che si apre nel linguaggio (poesia come insorgenza di senso ed accesso all’essere). Ecco il nostro intento: contribuire al progetto della nuova poesia con umiltà e discrezione, con povertà di mezzi, per offrire nudo, e perciò costruttivamente criticabile, l’entusiasmo delle idee. Pro-gettiamo: buttiamo oltre il guado le proposte lasciando al di qua i personalismi e i pregiudizi. Siamo cioè spregiudicati e allo stesso tempo disillusi, poiché un assunto non può che essere germinale e appassionato. Siamo pronti a svolte, ri-pensamenti, crisi, fallimenti e successi; potremo prendere abbagli, correggerci lungo il percorso: il nostro è un fare tentativo, sperimentale. Siamo fedeli al futuro.
Non cerchiamo, perciò, uno spazio “tra” le altre riviste per coltivare il nostro orticello di vanità. Vorremmo creare gruppi aperti, co-struire camminamenti che uniscano ciò che a molti pare separato e incomunicabile, iniziare un viaggio “attraverso”, “dentro” tutti gli spazi già consolidati e nascenti, per rubare in ognuno di essi un’in-tuizione, un appello, con la speranza, anzi, di percorrere il tratto “con” molti altri.
La nostra rivista è un luogo di incontro e lavoro: incontro fra cultura ufficiale e cultura reale, fra teoria e pratica, fra critica e poesia, fra tradizione e nuove proposte; un luogo in cui la militanza (il futuro non si aspetta, si suscita) sposa la ricerca scientifica, poiché uno sguardo progettuale deve per sua natura coniugarsi con uno sguardo retrospettivo audace; urge una rivisitazione globale del Novecento, manifestatosi ormai nella sua compiutezza. Non ci occuperemo solo di poesia, dal momento che ogni pratica di scrittura va ripensata nel rapporto dialettico con le altre.
Ecco perché abbiamo scelto di chiamarci “Atelier”: siamo artigiani della parola, letterati che non temono di sporcarsi le mani per tracciare qualche sentiero. Siamo attenti alla concrezione di lingua e vita nella scrittura, rivolti cioè scrupolosamente al testo, ma senza affettazioni accademiche e sterili intellettualismi, perché solo nel testo si invera e misura una poetica. Atelier: un luogo accessibile, di incontro, di progettazione, non il laboratorio occulto dell’esteta, non una stanza di astrusi alambicchi. L’autenticità del nostro movente è indicata dalla fragilità di chi si pone senza maschere, forse persino dall’ingenuità che accompagna la genuinità di queste pagine dimesse, sempre provvisorie, sempre consapevolmente inadeguate alle in-tenzioni, sempre in tensione. (Qui, sia chiaro, parliamo impudicamente di quel fronte minore che si affaccia sulla letteratura, dolorosamente consapevoli che «la minima buona azione – come ricordava Jahier – vale la più bella poesia»).
Per tutte queste ragioni abbiamo bisogno di lettori forti, animati dalla nostra stessa fame di opere sapide di umanità, capaci anche di migliorarci con critiche e consigli, perché sinceramente impegnati, con noi, nell’amorevole ricerca di un avamposto dove tentare, con gesti gravidi di poesia, di svegliare l’aurora.
Marco Merlin