«Questo spentoevo sta finendo» scrive Gianfranco Lauretano. Si riferisce alla nostra epoca scialba, dominata dal perbenismo e avente come risposte adattative più comuni la paralisi, l’incapacità di amare e di scorgere la bellezza. «Un’era veramente nuova» sta arrivando, afferma il poeta, un’era «che fu grande / sonnecchiante sottocenere / mentre il fuoco ripuliva». Somiglia a una creatura che si sveglia, a un «cane forte e lieto» che smaschera le ipocrisie di certi conduttori televisivi, ride dei docenti universitari e si allontana in generale da tutto ciò che è mainstream.
Sulle orme di Caproni, Lauretano, con un’ironia ricca di rime, assonanze e dal ritmo sostenuto, esprime un messaggio chiaro: Dio non è qui, in Europa, tra parlamenti, costituzioni, centri commerciali e tutti gli altri «nostri aggeggi deficienti». «Sta costruendo / con quelli che hanno sete e fame / di giustizia» e che credono in lui senza pretendere dimostrazioni. Dio si sporca le mani, «è altrove, segreto / lungo un greto di risaia / in un deserto, una palafitta / un quartiere di lamiere / una fogna a cielo aperto».
Sembra quasi che stia radunando un gregge in attesa che giunga il momento adatto per sbugiardare il lupo, un lupo-Satana che ora è bonario, svogliato, distratto e non fa più neanche bene il suo mestiere. È essenziale, allora, nel frattempo, per noi che non siamo il Popolo Eletto, tenere gli occhi spalancati e seguire l’esempio della donna che – come descritto in Marco 5:27 – «avendo udito parlare di Gesù, venne dietro tra la folla e gli toccò la veste»; dobbiamo essere pronti, cioè, a individuare «il valore» e a “toccarlo” anche in mezzo al degrado. Del resto, persino durante una guerra, e lo sappiamo bene, i fiori continuano a sbocciare e i bambini a giocare a pallone, tra un bombardamento e l’altro.
Rivolgendosi a Leopardi, Lauretano dedica inoltre cinque poesie alla «Beltà», prima accusandola di farsi promessa di vita quando invece è promessa di morte, e dopo accettando che la sua eternità possa mostrarsi in un attimo, in una carezza o in un’occhiata, con «tutto l’armamentario / di un romanzo rosa». Altri quattro testi sono poi dedicati all’importanza di tornare a “dare del tu” a ciò che ci circonda per entrare in rapporto diretto con le cose, anche a costo di lasciarci ferire.
La raccolta si chiude, o quasi, con una serie di splendide poesie dedicate alla neve, in cui l’avvento di un’era nuova sembra presagirsi nel disgelo del mondo. L’autore descrive infatti il trascorrere di un’intera settimana, giorno dopo giorno, tra l’attesa della neve – che si preannuncia nello zampettare di una signora – e il suo arrivo, che inizialmente suscita meraviglia e sospensione, ma ben presto lascia spazio a un senso di noia a causa dell’eccessiva stasi. Per fortuna alcune chiazze di verde «riemergono nel parco» e un chicco di grano dorme sottoterra, mentre il sole si accinge a «seminare la storia un’altra volta».
Valentina Furlotti
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La bestia
alla categoria di Fabio Fazio
Ringhia il servo del potere
non lo senti, sta in silenzio
bada alle apparenze
ma tu sta’ pronto, prepara
la cinghia.
Tra il bene e il male
solo esigue differenze.
Il male non lo vedi bene
si confonde nella vista
si camuffa con sapienza
quasi quasi come il bene
è un riformista.
La bestia incivilisce
cela il suo furore
esibisce buone maniere
pensa positivo
lo si vede tutte le sere
fa il conduttore televisivo.
La bestia non ringhia, intervista
sceglie gli ospiti del programma
gongolanti negli schermi
ma sono solo fessi
kamikaze del dramma
farsa di sé stessi.
La bestia li amministra
con carota e con bastone
impone il suo copione
e ce li somministra
in televisione smonta il bene
con gelida ironia
invisibili catene
perfino simpatia
la bestia sinistra.
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Gianfranco Lauretano è nato nel 1962, vive a Cesena. Ha pubblicato i volumi monografici La traccia di Cesare Pavese (Rizzoli, Milano 2008), Incontri con Clemente Rebora (Rizzoli, Milano 2013), Guido Gozzano. Il crepuscolo dell’incanto (Raffaelli, Rimini 2016), Federigo Tozzi. Una rivelazione improvvisa (Raffaelli, Rimini 2020), Beppe Fenoglio. La prima scelta (Ares, Milano 2022), le traduzioni dal russo Il cavaliere di bronzo di Aleksandr S. Puškin (Raffaelli, Rimini 2003), La pietra di Osip Mandel’štam (Il Saggiatore, Milano 2014), alcune raccolte di poesia, tra cui Occorreva che nascessi (Marietti, Milano 2004), Di una notte morente (Raffaelli, Rimini 2016), Rinascere da vecchi (Puntoacapo, Alessandria 2018), Molitva tela (Free poetry, Mosca 2019) e il volume di critica letteraria sulla poesia romagnola Nekropolis, Romagna (CartaCanta, Forlì, 2023).
Dirige la collana Poesia contemporanea e l’Almanacco dei Poeti e della Poesia Contemporanea (Raffaelli, Rimini), la rivista di arte e letteratura Graphie (Il Vicolo, Cesena) e la serie di volumi critici annuali sulla poesia contemporanea L’Anello Critico (CartaCanta, Forlì).
Valentina Furlotti nasce a Parma nel 1993. È laureata in Filosofia e insegna in un liceo scientifico. Si sta specializzando come docente di sostegno. Fosforescenze (Interno Libri, 2023) è la sua prima raccolta poetica, con prefazione di Valerio Grutt. Ne hanno scritto su la Repubblica di Bari, l’EstroVerso, Atelier, Laboratori Poesia, ReWriters, Versolibero, Poetarum Silva e Fara Poesia. Suoi versi appaiono sul nono Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea (Raffaelli, 2022) e su vari lit-blog e riviste. Fa parte della redazione di Atelier. Co-organizza Vianino in Poesia con Eleonora Conti.
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